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Audi: una storia di lusso ed evoluzione

L'Audi compie gli anni. Più di un secolo all'avanguardia della tecnica.

Oltre un secolo impiegato a costruire automobili di lusso e sportive, attraverso i consueti alti e bassi della storia: Audi, la casa degli anelli. Ha superato il traguardo dei 111 anni di vita. Inseriamo la trazione integrale quattro e viaggiamo spediti ben saldi sul terreno, per ripercorrere le sue vicende.

La fondazione di Audi: da Horch al primo dopoguerra

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August Horch, il fondatore dell’Audi

L’Audi venne fondata nella cittadina tedesca di Zwickhau il 16 luglio 1909 da August Horch, un ingegnere che già aveva avuto un’esperienza come costruttore. Vi invitiamo a leggere il nostro articolo su Horch per i dettagli sulla sua vita e i primi anni di attività dell’Audi. Saltiamo direttamente al 1920, quando Horch lasciò la direzione dell’azienda. Il primo dopoguerra fu devastante per la Germania, in critiche condizioni finanziarie a causa delle pesantissime riparazioni di guerra imposte dalle potenze vincitrici.

Audi Typ A 10/22 nelle diverse varianti di carrozzeria, 1909

L’inflazione fuori controllo dei primi anni Venni fu letale per la nazione, la popolazione e quindi anche l’industria. L’Audi in quel periodo produceva modelli tecnicamente abbastanza datati e superati, ad eccezione di un particolare: nel 1921 la Typ K fu la prima auto tedesca di serie con la guida a sinistra. Tuttavia i modelli non riuscirono a sopravvivere sul mercato. L’azienda era in crisi. Un tentativo estremo fu organizzato col supporto di Horch (il quale aveva lasciato la gestione dell’azienda per entrare nella vita pubblica in una posizione ministeriale): la Typ R, soprannominata Imperator, prodotta dal 1927 al 1929. Grossa berlina di lusso, motore V8 4.8, 100 cavalli, prezzo esagerato. Fu un fiasco. Nel 1928 la maggioranza delle azioni Audi fu acquistata dalla DKW di Jorgen Rasmussen. Ma i tempi erano grami e la depressione seguita al crollo di Wall Street mise in ginocchio anche la DKW.

Auto Union e i quattro anelli

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Auto Union Type C

Nel 1932 l’unico modo per sopravvivere proveniva dalle fusioni. Così DKW e Audi si unirono a Horch (la prima azienda di August) e Wanderer. Il 29 giugno di quell’anno venne quindi costituita l’Auto Union. Il nuovo soggetto era un colosso, il secondo costruttore tedesco; spaziava dalle motociclette alle auto relativamente compatte, per arrivare a quelle di lusso. Il marchio Audi non scomparve, però rimase in commercio un solo modello, la Typ UW Front, prima auto a trazione anteriore nel segmento medio-grande. Tuttavia nemmeno questa vettura ebbe successo, quindi lentamente Audi assunse un ruolo marginale, fino a sparire per alcuni decenni.

Bernd Rosemeyer (1909-1938)

Nella seconda metà degli anni Trenta il regime nazista sostenne notevolmente l’industria automobilistica nazionale e spinse lo sviluppo delle competizioni come strumento di propaganda. Così le Auto Union, insieme alle Mercedes, strapparono all’Alfa Romeo il dominio nelle corse. Le monoposto da gran premio Auto Union, progettate da Ferdinand Porsche, impiegavano l’inedita soluzione tecnica del motore posteriore. Utilizzarono anche il marchio dei quattro anelli intrecciati, che simboleggiava per l’appunto le quattro aziende originali. Di quell’epoca eroica per le corse ricordiamo due piloti simbolici per l’Auto Union.

Tazio Nuvolari (1892-1953) quando correva con l’Auto Union

Innanzitutto Bernd Rosemeyer, il quale nel 1936 vinse il Campionato europeo Grand Prix, l’equivalente della Formula 1 moderna. Morì il 28 gennaio 1938 mentre tentava di battere il record mondiale di velocità. Sull’Autobahn nel tratto da Francoforte a Darmstadt (attuale A5), la sua vettura sbandò improvvisamente alla velocità di 432 Km/h e uscì di strada; per lui non ci fu niente da fare. Poi ovviamente citiamo Tazio Nuvolari. Esasperato dall’inferiorità delle Alfa, nel 1937 il campionissimo accettò l’ingaggio da parte dell’Auto Union, con cui corse fino al 1939. Ottenne quattro vittorie con l’auto tedesca.

Anni ’60 e ‘70, la rinascita con Volkswagen

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Audi 80 L 1.3, 1973

Dopo il disastro della seconda guerra mondiale, la dirigenza dell’Auto Union fuggì dalla Sassonia (dove si trova Zwickau), conquistata dall’Armata rossa e assegnata alla Germania Est. Ricostituì l’azienda in Baviera, ad Ingolstadt, col nome di Auto Union-DKW, senza particolare successo. Fu acquisita nel 1958 dalla Daimler Mercedes-Benz, la quale però dopo pochi anni, nel 1964, la cedette alla Volkswagen. I dirigenti del colosso di Wolfsburg, nel pieno del successo planetario del Maggiolino, avevano già capito che era necessario diversificare la produzione. Quindi miravano ad entrare nel settore del lusso, sempre molto redditizio.

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Audi 80 Avant, 1992

Allora nel 1965 riportarono in attività il marchio Audi con tanto di quattro anelli. Il primo modello immesso sul mercato si chiamava Audi 72, progettato dalla Daimler ma con un nuovo motore VW 1.6 da 72 cavalli. Nel 1972 esordì la prima auto di grande successo, la medio-grande Audi 80. Inizialmente voleva attaccare modelli generalisti come Fiat 131 e Renault 12, tuttavia si collocò presto su un segmento di mercato superiore, andando a competere con l’Alfa Romeo Alfetta. Era equipaggiata da motori 1.3 e 1.5 da 55 ad 85 cavalli, al top di gamma, sull’Audi 80 GT, c’era un 1.6 da 100 cavalli. Nelle sue varie generazioni la produzione continuò fino al 2000, quando venne sostituita dalla A4. Dalla 80 vennero generati anche i modelli più grandi, fra cui 90 e 100. La casa di Ingolstadt si era affermata.

Gli anni ’80: Audi Quattro e le corse

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Audi Quattro, campione mondiale rally 1982 e 1984

Negli anni ’70 il direttore tecnico dell’Audi era Ferdinand Piech, nipote di Ferdinand Porsche. Nel 1977 avviò il progetto di un’auto per partecipare al campionato del mondo di rally, portato alla luce nel 1980 con la celebre Audi Quattro. La parola in italiano indicava appunto la trazione integrale, permessa dal nuovo regolamento. Il nome scritto Quattro in maiuscolo si riferisce a quella vettura da corsa e all’associato modello stradale da cui derivava; in minuscolo invece sono le denominazioni quattro sono associate a tutti i modelli di produzione successivi con trazione integrale. Fu un omaggio dovuto ai successi nei rally con due titoli mondiali nel 1982 e 1984 e 23 gare in totale nel WRC. Piech, diventato nel frattempo presidente dell’Audi, decise nel 1985 di mandare in pensione il marchio Auto Union, ormai Audi non solo camminava da sola ma correva pure. Le vittorie nelle corse fecero decollare il prestigio della marca, diventata un attore primario nel settore del lusso.

Nuovo millennio: all’avanguardia della tecnica

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Audi A4 Avant, 2016

Lo slogan “all’avanguardia della tecnica” fu coniato ai tempi dell’Audi 80 ma ha ben rappresentato la filosofia della casa anche nei decenni successivi. Carrozzeria in alluminio, iniezione diretta nei motori turbodiesel e perfino un’auto ibrida, l’Audi duo del 1997, prima in Europa. Nel 1998 la Lamborghini, dopo l’acquisizione da parte del Gruppo Volkswagen, venne inquadrata nel Gruppo Audi. Furono tanti i modelli innovativi ed originali: la compatta Audi A2, la coupé Audi TT, l’ammiraglia Audi A8 con la sportiva top di gamma S8.

Tuttavia il modello che meglio simboleggia la casa in epoca moderna è Audi A4, berlina e station wagon (Avant, secondo la nomenclatura della casa). L’Audi A4 è l’erede dell’Audi 80, ha esordito nel 1994. Appartiene al segmento D, vetture medio-grandi. Motore e trazione anteriori (o integrale se quattro), trasmissione posteriore. Il primo motore d’ingresso fu il 1.6 da 101 cavalli. Fino al volgere del secolo le potenze arrivavano fino ai 381 cavalli della micidiale RS4, spinta da un V6 2.7 biturbo a 5 valvole per cilindro. I diesel 1.9 TSi spaziavano da 75 a 115 cavalli, mentre al top c’era il 2.5 V6 da 150 cavalli. La generazione attuale, la B9 uscita nel 2016, va dal 1.4 TFSI da 150 cavalli al 2.9 V6 TFSI della RS4 da 450 cavalli, mentre i diesel partono dal 2.0 TDI da 122 cavalli per arrivare al 3.0 V6 TDI da 272 cavalli.

L’epopea della 24 ore di Le Mans

Audi R18 e-tron quattro durante la 24 ore di Le Mans 2015

Il nuovo millennio ha visto l’entusiasmante galoppata delle Audi alla 24 ore di Le Mans con i suoi prototipi. Bastano i numeri: dal 1999 al 2016, dalla R8 alla R18, la casa degli anelli ha vinto ben 13 edizioni assolute, seconda solo alla Porsche. Audi ha portato alla vittoria tecnologie molto diverse tra loro, come i motori diesel e le auto ibride. Il pilota simbolo di questa epopea è il danese Tom Kristensen vincitore per 9 volte (7 con l’Audi), recordman assoluto. Ma ricordiamo anche i successi degli italiani Emanuele Pirro (5 volte vincitore) e Rinaldo “Dindo” Capello (3 vittorie, 2 con Audi).

I SUV, il dieselgate e la svolta elettrica

Audi
L’auto elettrica Audi e-tron quattro, 2018

Il XXI secolo ha visto l’esplosione dei SUV nei gusti del pubblico. Audi è entrata in questo lucroso mercato nel 2005 col Q7, veicolo di grandi dimensioni. E’ seguito due anni dopo il medio Q5, poi i compatti Q3 e Q2. L’ultimo arrivato è l’attuale Q8 che si pone come ammiraglia dei veicoli rialzati.

A settembre 2015 anche Audi è stata travolta dallo scandalo dieselgate come il resto del Gruppo Volkswagen: un software illegale installato sui motori diesel EA289, divenuto noto come defeat device, era in grado di riconoscere quando il veicolo veniva sottoposto ai test di laboratorio, quindi modificava il suo funzionamento per rientrare nei livelli di emissioni stabiliti dalla legge; uscita la vettura dai rulli, il motore riprendeva a funzionare regolarmente, emettendo però gas di scarico a livelli superiori a quanto consentito.

La profonda riorganizzazione strategica e produttiva che ne è seguita vede l’Audi come apripista del nuovo corso, appunto sempre all’avanguardia: la propulsione elettrica. Da pochi mesi è arrivato sul mercato il SUV Audi e-tron quattro: due motori elettrici, 407 cavalli, accelerazione 0-100 in 5,7 secondi e 400 Km di autonomia con una carica. Il futuro è già cominciato.

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