La Lamborghini Miura non fu la prima Lamborghini ma certamente ebbe il merito di collocare l’azienda sulla mappa delle case più prestigiose al mondo. Era il 1966. Ferruccio Lamborghini era diventato costruttore di auto sportive da soli tre anni. Fino a quel momento aveva prodotto due esemplari di serie regolare, la 350 GT e la 400 GT, accolte con interesse ma senza destare particolari entusiasmi. Invece al salone di Ginevra di quell’anno la Miura trasformò completamente il panorama delle gran turismo di quell’epoca. Nel 2016 ricorrono quindi 50 anni da quell’evento, insieme al centenario del fondatore.
Lamborghini Miura
Quell’auto adottava soluzioni tipiche delle vetture da competizione, nonostante Ferruccio non ritenesse le corse un mezzo adatto per promuovere le proprie auto. Ma i responsabili tecnici dell’azienda, gli ingegneri Gian Paolo Dallara e Paolo Stanzani, gli fecero accettare l’innovativa scelta di collocare il motore in posizione posteriore centrale, come la Ford GT 40 e la Ferrari 250 LM. Ciò rappresentava una scelta inconsueta per le auto sportive stradali di quell’epoca, tutte a motore anteriore e trazione posteriore.
C’era però una differenza sostanziale con le auto da corsa sopra citate: il propulsore della Lamborghini Miura infatti era montato trasversalmente (l’albero motore è perpendicolare al senso di marcia del veicolo); una tecnica diffusa sulle auto a motore anteriore ma inedita nelle altre, dove la collocazione era invece longitudinale (albero parallelo al senso di marcia). Questa soluzione consentiva di ridurre gli ingombri, anche se creò diversi problemi di affidabilità nelle prime versioni. L’ottimizzazione degli spazi e dei pesi si completava con l’alloggiamento del cambio sotto al blocco motore e del serbatoio per la benzina nel cofano anteriore. Era innovativo anche il telaio, una struttura in lamiera di acciaio saldata, piegata e forata, per ridurne il peso. Anche questa era una scelta derivata dalle competizioni.
Tutte queste soluzioni tecniche ebbero un notevole effetto tra il pubblico degli appassionati. Ma, come sempre accade, l’occhio fu determinante. Nel senso che a provocare il grande scalpore nel pubblico, ciò che proiettò la Lamborghini Miura nell’olimpo delle auto da sogno, fu il suo design. Il telaio venne presentato in anteprima al salone di Torino pochi mesi prima, nell’ottobre del 1965. Il celebre carrozziere Nuccio Bertone intuì subito che quella materia prima poteva trasformarsi in opera d’arte nelle proprie mani; allora disse a Ferruccio Lamborghini quella frase diventata famosa: “Io sono quello che può fare la scarpa per il tuo piede”. In pochissimi mesi nacque la carrozzeria della Miura, delineata da Bertone e rifinita dal suo principale disegnatore Marcello Gandini.
Non la scopriamo certo noi. Ancora oggi la linea della Miura risulta avvincente, tanto era avveniristica all’epoca. Si disse che fece invecchiare di colpo tutte le auto sportive di quel periodo e non stentiamo a crederlo. Snella e compatta, una sogliola sinuosa che nascondeva un toro scatenato. Un dettaglio su tutti: i fari con le famose “sopracciglia”, degli elementi neri sopra i gruppi ottici dalla forma che ricordava proprio quella delle sopracciglia umane.
Lamborghini Miura: l’origine del nome
Altrettanto nota è l’origine del nome. Ferruccio Lamborghini apparteneva al segno zodiacale del toro ed era un combattente di carattere, al punto da scegliere uno di questi animali come simbolo per lo stemma dell’azienda fin dall’inizio, quando produceva solo trattori. Per cui decise di nominare anche le sue automobili come famosi tori da corrida. Miura era la razza più forte e combattiva.
Le prestazioni erano straordinarie per quei tempi. Il motore della Miura P400, la prima versione, cioè il V12 3.9 a quattro carburatori progettato da Giotto Bizzarrini (ex ingegnere Ferrari), erogava ben 350 cavalli in un corpo vettura di 1.180 Kg. Questo le permetteva di raggiungere 276 Km/h di velocità massima, il che ne faceva la GT più veloce del mondo in quell’epoca. Aggiungiamo anche l’accelerazione 0-100 in 6.7 secondi, tanto per gradire.
Non erano tutte rose e fiori. La fretta con cui l’intero progetto fu realizzato (circa quattro mesi) lasciò la prima Miura con diversi problemi. I freni non erano efficienti; la scelta di mettere il serbatoio all’anteriore provocava un eccessivo alleggerimento dell’avantreno quando la benzina si consumava, creando forti problemi di direzionalità e stabilità; il motore trasversale comportava una lubrificazione non completa durante le curve. Molti di questi difetti, anche se non tutti, vennero risolti nelle versioni successive. Ma era un’auto destinata al successo.
Quando Ferruccio approvò la produzione del progetto presentatogli da Dallara e Stanzani, disse che la Miura sarebbe stata un buon veicolo promozionale per la casa, ma che ne avrebbero venduti al massimo 50 esemplari. Mai previsione fu più sbagliata; gli ordini fioccarono a pioggia fin dalla presentazione a Ginevra e soprattutto pochi mesi dopo a Montecarlo, dove la Miura fu usata come auto della direzione di gara al Gran Premio (safety car era un’espressione sconosciuta a quei tempi). Solo nel 1967 furono effettuate 108 consegne. In totale la Miura fu prodotta in 764 esemplari. Molti, considerando il prezzo iniziale di 7,7 milioni di lire, equivalenti a circa 97.000 euro attuali.
La Miura uscì di produzione nel 1973, quando lasciò il posto alla Countach (la curiosa origine del nome Countach). Veniva passato il testimone ad un’altra vettura rimasta nella storia. Ma la Miura rappresentò interamente l’epoca della Lamborghini di Ferruccio, il quale cedette l’azienda tra il 1972 e il 1973. Alle porte della prima grande crisi petrolifera, il mondo stava per cambiare radicalmente.
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