Oggi ricordiamo Pierre Cardin. Il leggendario stilista italiano, cresciuto in Francia, è scomparso il 29 dicembre 2020 , all’età di 98 anni.
Nato il 2 luglio 1922 a Sant’Andrea di Barbarana, nella provincia veneta di Treviso, Pietro Costante Cardin – questo il suo vero nome all’anagrafe – proveniva da una famiglia di ricchi agricoltori poi finiti in povertà al termine della Prima Guerra Mondiale.
Il suo apprendistato iniziava presto: a soli 14 anni, quello che ormai veniva chiamato Pierre, cominciava a lavorare presso un sarto di Saint-Étienne. E il resto è leggenda. Dopo aver mosso i primi passi nel mondo della moda francese, Cardin riusciva a diventare uno dei più importanti couturier e designer della seconda metà del ventesimo secolo. Il tratto dominante del suo stile? Aver saputo rappresentare alla perfezione uno stile in cui ben si sposavano sia i tratti di quello italiano sia i tratti di quello francese.
Se Pierre Cardin è ben noto come stilista e designer, probabilmente non molti sanno che il suo nome è legato anche a un nutrito numero di modelli di autovetture, sia di gran lusso sia più “popolari” (come la Simca 1100 Cardin del 1969).
Per alcuni modelli, il contributo di Cardin è essenzialmente concentrato sullo stile automobilistico. È il caso dell’AMC Javelin Pierre Cardin del 1971 e del modello sportivo Stash Cardin del 1976, per cui lo stilista lavora in particolare su tessuti, finiture e colori. Per altri modelli, invece, Cardin si propone addirittura come costruttore.
Pierre Cardin, nasce una società nell’automotive
Nel 1980, a New York, nasce infatti la società Pierre Cardin Automotive, che si occupa della ideazione e costruzione di autovetture di lusso. Ed è così che vede la luce la costosissima Cardin Evolution I, il cui successo commerciale, in verità, non fu eclatante. La vettura, infatti, venne prodotta in sole circa 300 unità, a cavallo tra il 1981 e il 1982. Costruita utilizzando come base la Cadillac Eldorado Coupé del 1978, la Cardin Evolution I presenta rilevanti modifiche del design frontale e della coda. Originali ed esclusivi gli interni, da segnalare anche la presenza di un videoregistratore Betamax.
La sperimentazione sugli interni di auto non si è certo arrestata negli ultimi anni. Anzi, la spinta green ed ecosostenibile ha portato nuova linfa vitale al settore sia dei marchi generali sia dei marchi più prestigiosi e del settore del lusso. Le case automobilistiche puntano sull’utilizzo di materiali e tessuti naturali per i rivestimenti – dal tweed all’ecopelle – ma anche al riciclo degli stessi e al taglio delle emissioni, con una maggiore attenzione all’impatto ambientale che il ciclo produttivo può avere.
Tra i casi più virtuosi e più recenti, quello del marchio britannico Bentley, che ha deciso di impiegare quattro modelli di tweed per l’intera gamma di vetture. Oltre a servirsi di un materiale sostenibile come l’iconico tessuto di lana tanto caro alla tradizione britannica, Bentley ha scelto di farlo produrre nello stabilimento inglese Lovat Mill, che pratica una produzione a secco, senza alcun impatto per l’ambiente circostante.
Sempre sul fronte dei tessuti interamente riciclati e sintetici, impossibile non citare Dinamica e Econyl. Entrambi prodotti in Italia, il primo si ricava dal riciclo del poliestere e delle bottiglie di plastica e viene impiegato da marchi automobilistici quali Land Rover, Ford, Bmw, Mercedes e Volkswagen. Il secondo è invece un tessuto utilizzato per i tappetini e per i sedili, ottenuto interamente dal riciclo della plastica.
Particolarmente originale è invece il procedimento impiegato per la creazione del tessuto chiamato Piñatex. Ideato dalla spagnola Carmen Hijosa, questo materiale viene ottenuto dalle fibre di cellulosa degli scarti delle foglie d’ananas e si presenta come un’alternativa naturale al cuoio. Oltre che dal settore dell’automotive, può essere impiegato in quelli della moda e del design.
Restando nell’ambito delle fibre naturali, è degno di citazione il tessuto impiegato da Land Rover. Si tratta dell’Eucalyptos Melange, composto da eucalipto, come suggerisce il nome, e da poliestere, che per la propria produzione richiede una quantità di acqua notevolmente inferiore rispetto alla produzione di plastica e alcantara.
Resta infine da citare l’esperienza di Audi, che all’inizio del 2020 ha annunciato la scelta di impiegare il Pet, ossia una resina termoplastica che viene utilizzata per la composizione di flaconi e bottiglie, per la realizzazione dei propri rivestimenti. L’esperienza di Audi è altresì meritoria di elogio per via dello sforzo che si sta attuando anche in merito al ciclo produttivo, in cui si è scelto di ridurre in modo significativo l’uso della plastica per le componenti delle vetture.