“Allora, come le è sembrata la macchina?”. “La sua macchina è una m…”. Non è un dialogo tra due persone qualsiasi. Questa è la narrazione quasi esatta di una delle prime conversazioni fra Enzo Ferrari e Niki Lauda, avvenuta nell’autunno del 1973 a Fiorano, al termine del primo test della monoposto Ferrari di F1 da parte del pilota austriaco, poco dopo la firma del primo contratto con la casa di Maranello.
Il 20 maggio 2019 Niki Lauda ci ha lasciati. Aveva 70 anni ed era malato da tempo. L’ex pilota austriaco, ricoverato per un problema ai reni, si è spento in una clinica svizzera.
NIKI LAUDA: UN UOMO SENZA PELI SULLA LINGUA
La risposta ad Enzo Ferrari citata sopra sintetizza bene la personalità di Lauda: diretta, senza peli sulla lingua né artifici diplomatici; così come la sua guida: efficace e precisa, veloce e puntuale, tattica e intelligente, mirata esclusivamente al risultato, dove non esisteva spazio per sentimentalismi o spettacolo fine a se stesso. Concentrato e duro, proiettato totalmente verso l’obiettivo. La sua forza di carattere gli ha permesso di vincere tanto in relativamente poco tempo; soprattutto è alla base del suo incredibile recupero dopo quell’incidente che tutti conosciamo. Un omaggio a questo grande campione è quindi doveroso.
NIKI LAUDA, AL VERTICE CON LE PROPRIE FORZE
Niki Lauda è nato a Vienna il 22 febbraio 1949. Nonostante la sua famiglia fosse molto ricca (imprenditori e banchieri da più generazioni), da essa non ha ricevuto alcun aiuto: la carriera di pilota non si confaceva all’immagine aristocratica dei Lauda. Quindi Niki si è fatto da solo: ha finanziato il proprio ingresso nel mondo delle corse ricorrendo a prestiti bancari, non senza ulteriori ostacoli da parte della famiglia; per comprarsi un posto in Formula 2 alla March, dovette garantire il debito pagandosi un’assicurazione sulla vita.
Gli sponsor inizialmente erano pochi e non particolarmente affidabili. Durante il periodo della Formula 3, avendo pochi mezzi, fu ospitato nel suo appartamento da James Hunt, col quale conservò un buon rapporto di amicizia, nonostante la rivalità in pista che sarebbe maturata alcuni anni più tardi. Al punto che, quando l’inglese dopo il ritiro attraversò periodi molto difficili a livello economico e soprattutto di salute, l’austriaco lo sostenne anche materialmente.
Nel 1971 Lauda esordì in F2 al volante della March; il suo compagno di squadra era Ronnie Peterson, di qualche anno più anziano (lo svedese nacque nel 1944) e all’epoca molto più quotato di lui, quell’anno si piazzò addirittura secondo nel mondiale di Formula 1. L’austriaco ottenne buoni risultati e si mise in mostra, così in quella stessa stagione la scuderia britannica gli permise di esordire in Formula 1, il 15 agosto al Gran Premio d’Austria; un guasto dopo 20 giri mise fine alla sua corsa. Nel 1972 Lauda corse come titolare del team March sia per la F2 che per la F1.
Terminò il campionato di F2 al quinto posto, mentre non ottenne punti nella massima categoria. Quella scuderia, alle prese con notevoli difficoltà finanziarie, non poteva dare al giovane pilota austriaco serie prospettive per il futuro. Quindi, ricorrendo ad un altro prestito, si assicurò un posto alla BRM per la stagione 1973. Questa scuderia era ben lontana dai fasti dei primi anni ’60 culminati con la conquista del titolo mondiale nel 1962 da parte di Graham Hill. Ora si barcamenava nelle retrovie.
Qui Niki ebbe Clay Regazzoni come compagno di squadra. Durante questa stagione emerse una delle doti fondamentali di Lauda: la straordinaria capacità nel capire il comportamento della vettura e individuare i suoi punti deboli; grazie a questo talento innato egli fece progredire non poco la BRM, che partiva molto in basso nelle prestazioni. Riuscì ad ottenere quindi un quinto posto al GP del Belgio. Ma le rotture erano frequenti.
Ad ogni modo, quei risultati indussero la BRM a stipulare un contratto di due anni con Lauda. Invece Clay era passato alla Ferrari, per la quale aveva già corso dal 1970 al 1972. Anche l’esuberante svizzero era rimasto impressionato dalle capacità di Lauda; poiché la scuderia di Maranello stava rinnovando l’intera struttura, Regazzoni suggerì ad Enzo Ferrari l’ingaggio proprio di Lauda.
L’ARRIVO ALLA FERRARI
Nel 1973 Lauda aveva una segretaria con la quale quotidianamente si congedava dicendole “Se chiama Ferrari, richiamami subito”, così per scherzare. Ma un giorno quella telefonata arrivò davvero. Naturalmente Niki si precipitò ad incontrare il commendatore, il quale gli offrì di guidare la sua monoposto per la stagione successiva. “Commendatore, ho un problema: ho appena firmato un contratto con la BRM”, gli disse il pilota. “Non ti preoccupare, lo risolviamo: firma qui”, fu la risposta. Soldi pochi o niente, il necessario però per risarcire la BRM per la rottura del contratto e saldare i debiti dell’austriaco. Fu così che Niki Lauda diventò un pilota della Ferrari.
Finita la stagione agonistica 1973, Niki si presentò a Fiorano per provare finalmente la rossa. L’episodio che abbiamo riportato all’inizio di questo articolo è un po’ diverso da come viene raccontato nel film “Rush”, anche se la sostanza è quella. Il pilota lo ha ricordato diverse volte negli ultimi anni (l’intervista a cui ci riferiamo in questa sede è stata rilasciata al giornalista sportivo americano Graham Bensinger); il dialogo avvenne tramite la traduzione dall’inglese e l’intermediazione di Piero Ferrari.
Il commendatore disse al figlio di chiedere al pilota come avesse trovato la macchina. Niki, rivolto a Piero, pronunciò effettivamente la frase “The car is shit“, nel suo inglese sempre molto telegrafico e brutale. Piero: “Non posso dirglielo”; Niki: “Perché? la macchina è una m…”, insisteva. “Non posso dire a mio padre queste parole”. “Va bene, allora digli che la macchina è scarsa, se così è meglio”. Lauda addolcì l’espressione con “The car is no good”.
Piero tradusse. “La Ferrari una macchina scarsa?”, ribatté il commendatore. Lauda ricorda nell’intervista: “Seguirono circa 30 secondi di silenzio, i più lunghi della mia vita. In quel momento pensai di aver commesso un errore”. Lo scambio proseguì: “Cosa è scarso della macchina?”, chiese Enzo Ferrari. “Ha un grande sottosterzo, la sospensione anteriore non va bene, la macchina non è maneggevole. Alla BRM invece tutto filava liscio, sia in entrata che in uscita di curva”. Il commendatore allora convocò l’ingegner Mauro Forghieri, all’epoca direttore tecnico della squadra, e gli ordinò di lavorare sulla macchina secondo le indicazioni di Lauda.
Enzo a Niki: “Se ti faccio mettere a posto la macchina come chiedi, di quanto pensi di migliorare sul giro?”. Niki ad Enzo: “Tre decimi di secondo, anche cinque”. Enzo a Niki: “Va bene, ma se non migliori di cinque decimi sei licenziato”. Niki ad Enzo: “Perché?”. Enzo a Niki: “Perché hai detto che la macchina è una m… (quindi l’inglese lo capiva, almeno un po’) e se me la fai modificare ma non mantieni quello che hai promesso, allora sarà un grosso problema. Arrivederci”. E se ne andò.
Lauda dichiarò nell’intervista che dopo aver lavorato intensamente insieme a Forghieri per cinque giorni, nel nuovo test guadagnò non cinque ma otto decimi sul giro. “Grazie a quel lavoro, sviluppai un’ottima relazione con Forghieri e Ferrari era contento perché avevo assolto al mio impegno. Realizzai in quel momento che per quel motivo Ferrari aveva cominciato a rispettarmi. Da allora tutto andò per il meglio”. Ci siamo dilungati su questo episodio perché fotografa molto bene i caratteri di questi due uomini straordinari e perché costituisce la base dei successi che sarebbero arrivati in futuro.
I PRIMI SUCCESSI. CAMPIONE DEL MONDO
Nel 1974 Niki Lauda lavorò molto attivamente nello sviluppo della Ferrari 312 B3-74. I risultati non tardarono ad arrivare. Vinse il suo primo gran premio in Spagna; ottenne un successo anche in Olanda, ad un certo punto si trovò perfino in testa alla classifica mondiale.
Tuttavia molti ritiri nella seconda parte della stagione, soprattutto per guasti, gli impedirono di aspirare seriamente al campionato. Ma si mostrò molto veloce, al punto da eguagliare il record di pole positions in una stagione, ben 9 (impresa compiuta da Ronnie Peterson l’anno precedente sulla Lotus). Nel 1975 a campionato avviato la B3-74 fu sostituita dalla Ferrari 312 T. Era l’anello che mancava. Lauda vinse cinque gran premi e ottenne ancora nove pole positions.
S’involò nella parte centrale della stagione e a Monza, ad una gara dal termine, conquistò matematicamente il suo primo titolo mondiale, riportando a Maranello l’iride piloti e costruttori dopo un digiuno durato undici anni.
NÜRBURGRING 1976 – L’INFERNO DI FUOCO
“Ricordo qualcuno che mi toccava la spalla destra, poi più niente. Quando mi risvegliai, mi resi conto che il prete mi aveva dato l’estrema unzione senza capire se io fossi cosciente. Ci rimasi male, mi sarei aspettato qualche parola di conforto, magari che mi avrebbe detto che sarei sopravvissuto. Ciò mi indispettì parecchio. Allora dissi a me stesso: ora devo vivere, non fosse altro per questo motivo”.
Niki Lauda ha rivissuto questo episodio nel documentario “Lauda” del 2014. Parla dei giorni immediamente successivi al gravissimo incidente che tutti gli appassionati dei motori, di ieri e oggi, avranno visto almeno una volta, magari anche solo nella ricostruzione cinematografica di “Rush”.
Cioè il botto al secondo giro del Gran Premio di Germania 1976, disputato il 1° agosto sulla pista del Nürburgring Nordschleife. Un incidente le cui cause ancora oggi non sono del tutto chiare: gomme fredde, urto sul cordolo, è difficile capire. Sta di fatto che l’austriaco entrò deciso nella curva a sinistra Bergwerk, prendendo in pieno un cordolo molto alto; nel momento in cui le ruote interne della Ferrari ripresero il contatto con l’asfalto, la macchina scartò bruscamente nella direzione opposta, innescando una sbandata. In un punto che di solito si percorre a 200 Km/h e senza via di fuga, non c’era più modo per il pilota di recuperare il controllo. Violento urto contro il guardrail appoggiato alla roccia viva, macchina che prende fuoco e torna in traiettoria.
Un pilota riesce ad evitarlo, altri due no, ulteriori urti; il casco salta via, Lauda perde i sensi mentre il fuoco avvolge la vettura e comincia ad intaccare anche il suo corpo. I piloti sopraggiunti per primi si fermano e si danno da fare per toglierlo da quella situazione: Guy Edwards, Harald Ertl, Brett Lunger e Arturo Merzario.
Fu proprio l’italiano, aiutato da un commissario con l’estintore, ad avventarsi nel fuoco per estrarre Lauda dall’abitacolo. Salvo per pochissimo. Dopo il volo in elicottero in due ospedali differenti, a Mannheim gli vennero praticati i delicati interventi ai polmoni per aspirarne tutte le sostanze tossiche, gas e residui solidi della combustione, respirate durante quel minuto d’inferno. Lauda ha più volte ripetuto di non ricordare nulla di quei momenti.
IL DUELLO CON JAMES HUNT – OLTRE IL FILM
Anche l’episodio dell’estrema unzione è tipico del carattere di Niki Lauda: una volontà di ferro unita ad una freddezza da calcolatore e un pragmatismo da ragioniere. E’ anche la descrizione del suo stile di pilotaggio, poco spettacolare ma altamente redditizio. Per Lauda la gloria senza risultati non aveva senso.
Per lui l’orizzonte tattico e strategico era sempre il campionato. I rischi inutili non rientravano nelle opzioni percorribili. Nessun applauso valeva la perdita di un punto in classifica. Ed era la tattica che lo guidò anche in quello sciagurato 1976. Perché Niki arrivò al Nürburgring con un margine molto ampio, grazie a quattro vittorie, due secondi posti e un podio. L’austriaco sembrava lanciato verso la doppietta iridata. L’unico in grado di impensierirlo, e nemmeno troppo da vicino, era James Hunt, al volante della McLaren-Ford.
L’incidente fece saltare a Lauda due gare. Sorprendendo tutti, forse anche se stesso, egli si presentò in pista a Monza, il 12 settembre, solo 42 giorni dopo, ancora dolorante e con la testa fasciata che perdeva sangue. Voleva e doveva correre. “Io non ho mai avuto dubbi sulla possibilità di riprendere a correre dopo l’incidente. Ogni pilota conosce i pericoli di questa attività e a quell’epoca i pericoli erano molto maggiori di oggi. Per me era solo questione di essere a posto fisicamente. Nel momento in cui i medici mi diedero l’ok, entrai in macchina. Volevo farlo il prima possibile. Ma dopo Monza mi sono reso conto che in realtà non ero ancora pronto”.
Hunt si era avvicinato parecchio, avendo vinto due gran premi su tre; inoltre vedere Carlos Reutmann sul sedile che era suo dava a Lauda parecchio fastidio, ecco perché aveva forzato i tempi del rientro.
Comunque arrivò quarto e Hunt si ritirò. Inoltre il 29 settembre la FIA squalificò Hunt relativamente al GP di Gran Bretagna (18 luglio), da lui vinto con Lauda secondo, perché l’inglese era ripartito col muletto dopo un incidente che aveva fatto sospendere la gara. La direzione di corsa invece non lo punì.
Quindi a tre gare dal termine Lauda si trovò nella condizione di vincere matematicamente il titolo, già in Canada il 3 ottobre. Tuttavia James Hunt era in pieno furore agonistico e nemmeno la sua McLaren era male. Vinse in Canada e Lauda non prese punti; vinse anche negli USA, Lauda solo terzo. Così all’ultima gara in Giappone, al Fuji il 24 ottobre, il distacco tra i due si era ridotto a soli tre punti; a quell’epoca il vincitore ne prendeva 9. Hunt era tuttavia in vantaggio come numero di vittorie. Come andò lo sappiamo tutti. La pioggia torrenziale, la pista in condizioni da delirio, non avrebbero potuto correre nemmeno i fuoristrada. Ma si decise ugualmente di andare in pista, dopo ore di ritardo. Mauro Forghieri ricorda che i piloti inglesi fecero un giochetto strano: come Lauda, tutti erano d’accordo nel non correre, a parole: però a pochi minuti dal via tutti fecero un testacoda colossale nella decisione e si avviarono verso le macchine. Lauda non poté fare altro che rassegnarsi a correre anche lui. Ma al secondo giro rientrò ai box e si ritirò. Hunt fece molta fatica ma agguantò un terzo posto che lo fece diventare campione del mondo.
La scena del film “Rush” in cui Forghieri propose a Lauda di attribuire ad un guasto elettrico la causa del ritiro e invece il pilota volle ammettere pubblicamente che si ritirava perché non se la sentiva di continuare, è vera. Entrambi i protagonisti l’hanno confermata più volte. Già all’epoca. In un’intervista al quotidiano La Stampa, pubblicata due giorni dopo la gara, il pilota dichiarò: “Quanto è accaduto in Germania non c’entra per nulla nella scelta che ho preso in Giappone. Semplicemente ho giudicato che fosse assurdo continuare a correre su quella pista, titolo in palio o meno. Subito dopo il via, mi sono trovato fra muri di acqua. Ho pensato: è una pazzia, è un correre oltre ogni ragionevole rischio. E mi sono fermato. La Ferrari mi paga per guidare una sua macchina, è vero, ma non mi paga perché mi ammazzi”.
IL SECONDO TITOLO MONDIALE E L’ADDIO ALLA FERRARI
Questa vicenda intaccò profondamente il rapporto tra Lauda ed Enzo Ferrari. E’ vero, come racconta il pilota a Bensinger, che il grande vecchio gli disse al telefono, da lui chiamato subito dopo, che condivideva e appoggiava pienamente la sua decisione di ritirarsi al Fuji. Ma poi le cose cambiarono.
Circa un mese dopo, Ferrari convocò Lauda nel suo ufficio e gli comunicò che il ruolo di prima guida nella squadra per il 1977 sarebbe passato a Carlos Reutmann (ingaggiato al posto di Regazzoni). Lauda gli chiese il motivo. “Perché non potrai mai tornare com’eri prima dell’incidente”. L’austriaco non ci stava. Pretese di essere svincolato dal contratto che lo legava ancora per un anno. “E dove vai?”, gli chiese il commendatore. “Alla McLaren, ho appena parlato con Ron Dennis”. Ferrari ci pensò su e ritornò sui propri passi. La prima guida restava Lauda, ma tutto lo sviluppo sarebbe stato affidato a Reutmann.
Ma una volta in pista Lauda e la Ferrari 312 T2 si confermarono migliori della concorrenza, anche se non certo imbattibili. Wolf, Lotus e McLaren, tutte motorizzate Ford, erano molto veloci, però meno affidabili della rossa. Hunt, Mario Andretti e Jody Scheckter incamerarono gran parte dei gran premi. Ma nessuno batteva la costanza e la sapienza tattica di Niki Lauda: l’austriaco non sbagliò nulla e la macchina lo assecondò alla perfezione. Vinse il suo secondo titolo mondiale con due gare d’anticipo.
Subito dopo la conquista matematica del campionato, Ferrari convocò Lauda a Maranello per discutere del rinnovo contrattuale. Contrasti o no, Lauda era il miglior pilota in circolazione e il commendatore era deciso ad offrirgli qualunque somma (purché ragionevole). “Quanto vuoi?”; e lui: “Niente. Me ne vado. Ho firmato con Bernie Ecclestone per correre con la Brabham”. Secondo quanto l’austriaco ha raccontato al giornalista Bensinger, Ferrari urlò e fece fuoco e fiamme. “Ma una volta uscito dall’ufficio mi sono sentito leggero come una piuma. Tutta la pressione era svanita di colpo. L’enorme pressione che ti cade addosso quando devi vincere con una Ferrari”.
GLI ULTIMI ANNI – IL PRIMO RITIRO, IL RITORNO E IL TERZO TITOLO
Niki Lauda corse sulla Brabham-Alfa Romeo nel 1978 e 1979. Ebbe un solo momento di gloria, la vittoria nel GP di Svezia 1978 su quella strana vettura col ventilatore che creava l’effetto suolo e che fu vietata subito dopo. Lauda quell’anno vinse anche a Monza, ma fu un successo di poco valore: ricordiamo alla partenza il terrificante incidente in seguito al quale morì Ronnie Peterson.
La gara riprese, Andretti precedette Villeneuve al traguardo ma entrambi vennero penalizzati per partenza anticipata. Quindi Lauda, terzo, vinse la gara. Il 1979 invece fu un vero calvario, rotture a ripetizione. Lauda non ne poteva più e annunciò il ritiro.
Passarono due anni, tutti dedicati alla propria compagnia aerea. “Poi Ron Dennis mi chiese se volessi tornare. Inizialmente rifiutai, avevo perso ogni interesse nella Formula 1. Ma poi, avendo cominciato a commentare le gare per la televisione, ricominciai a prenderci gusto e qualcosa scattò nella mia mente. Ron mi chiamò nuovamente e ancora mi offrì di correre per la McLaren. Quella volta mi convinse. Però lo sponsor Marlboro era perplesso. Allora proposi ai dirigenti un contratto di sole tre gare; se al termine le mie prestazioni non li avessero convinti, tutto sarebbe finito lì”. Questa intervista Lauda la rilasciò al giornalista britannico Peter Windsor.
Quindi Niki Lauda tornò in pista nel 1982 con la McLaren-Ford. Alla terza gara vinse il GP degli USA. Lo sponsor era contento, il contratto fu esteso. Vinse poi anche in Gran Bretagna e si classificò quinto nel campionato. Invece nel 1983 la vettura fu poco competitiva. Il vecchio Cosworth aspirato fu sostituito dal motore turbo Porsche, però i guasti furono parecchi e la stagione si concluse senza vittorie.
Ma il 1984 si presentò sotto auspici ben diversi. L’obiettivo della McLaren-Porsche era vincere il mondiale. Se con Lauda o il nuovo compagno di squadra Alain Prost, era tutto da vedere. Il duello col giovane francese d’assalto fu appassionante e molto ravvicinato. Così serrato che si concluse con un distacco fra i due di mezzo punto. Ciò fu dovuto all’assegnazione di metà punteggio al GP di Monaco, vinto da Prost davanti alla rivelazione Ayrton Senna sotto la pioggia, la gara venne interrotta prima del completamento di tre quarti dei giri. Nella stagione 1984 Prost vinse 7 gran premi, Lauda 5; ma la spuntò Lauda che così vinse il suo terzo e ultimo titolo mondiale.
Il 1985 invece fu un’annata avara di soddisfazioni per Lauda, il quale riuscì a vincere solo una corsa, in Olanda, mentre collezionò ben 11 ritiri. Al quale a fine stagione ne aggiunse un altro, quello definitivo dall’attività di pilota. Il bilancio della carriera in Formula 1 di Niki Lauda si chiude quindi con la vittoria di 3 titoli mondiali e 25 gran premi, accompagnati da 24 pole positions. Successivamente Lauda si è occupato ancora della propria attività di imprenditore nelle linee aeree, alternandola a quella di consulente per la Scuderia Ferrari e di presidente non operativo del team Mercedes di Formula 1, fino al ricovero nell’estate 2018 per un trapianto di polmone e al nuovo ricovero nella primavera 2019, dove complicazioni renali ne hanno causato la prematura scomparsa il 20 maggio.
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