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Citroën: 101 anni non convenzionali

Citroën 100 anni
La Citroën compie 100 anni. Un secolo tra innovazioni, originalità e auto indimenticabili

Nel 1919 una nuova azienda automobilistica si affacciò all’orizzonte: la Citroën. Come spesso accade per le grandi imprese, anch’essa nacque dall’iniziativa di un uomo fuori dal comune, in questo caso André Citroën. Per tutta l’esistenza di questa azienda le automobili col simbolo del double chevron hanno sempre evidenziato un comune carattere genetico che riflette la personalità stessa del loro fondatore: l’attitudine ad uscire dagli schemi, a sfidare le convenzioni, ad esplorare strade nuove nel design, nella tecnica o nelle strategie commerciali. Ciò è vero ancora oggi dopo un secolo di storia.

Dal punto di vista industriale, la marca automobilistica francese non partiva da zero; derivò infatti dalla riconversione post-bellica di una fabbrica di munizioni costruita a Parigi al quai de Javel (oggi un parco opportunamente ribattezzato quai André Citroën); un’azienda molto importante dove per la prima volta in Francia venne applicata la produzione tramite catena di montaggio. A marzo del 1919 André annunciò il passaggio alla costruzione di automobili. A giugno arrivò quindi la Type A, la prima Citroën. I primi due decenni di attività della marca ruotano interamente alle vicende del suo fondatore. Vi rimandiamo quindi all’articolo evidenziato in questa pagina, dove si ripercorre la vita di André Citroën. In questa sede riprendiamo il discorso dal momento successivo alla bancarotta del 1935 e all’acquisizione da parte della Michelin, periodo che coincise anche con la morte di André.

I 100 anni della Citroën: l’era Michelin e la 2CV

La Michelin rilevò alla fine del 1934 la Citroën, trascinata al fallimento dai colossali debiti che il fondatore aveva accumulato per impiantare la produzione della Traction Avant, rivoluzionaria ma al di là della forza finanziaria di quella che pure era in quel momento la maggiore azienda automobilistica francese. Il produttore di pneumatici reso celebre dalla mascotte del Bibendum era anche il principale creditore della Citroën, questa fu la ragione principale per cui a Clermont Ferrand decisero l’acquisizione. Il nuovo presidente fu Pierre Michelin, il quale affidò la risorgente azienda del quai de Javel al suo fidato amico e vecchio compagno d’armi Pierre Jules Boulanger.

Il mandato al nuovo direttore generale fu chiarissimo: la Citroën doveva risollevarsi ma da quel momento in poi i bilanci avrebbero dovuto categoricamente essere sempre in ordine. Avventure a rotta di collo nello stile del vecchio André non sarebbero state tollerate. Era necessario innanzitutto risolvere i problemi tecnici che avevano afflitto inizialmente la Traction Avant. Poi si doveva pensare al futuro.

Un futuro che voleva e doveva orientarsi verso la produzione di massa, tramite la realizzazione di un’auto a basso costo alla portata delle famiglie non benestanti. Insomma, l’auto del popolo alla quale tutti in Europa stavano pensando, ma che nessuno finora era riuscito veramente a costruire, salvo la Ford T americana. Ma l’America era un mondo diverso. Nel 1936, nello stesso anno in cui in Italia la Fiat 500 Topolino si affacciava sul mercato, in Francia la Citroën con l’omino Michelin al volante stava ragionando su una vetturetta per i contadini. Stiamo naturalmente parlando della Citroën 2CV. La sua genesi fu lunghissima e travagliata, soprattutto a causa della guerra. Solo nel 1948 si riuscì a completare e presentare al pubblico quella stranissima piccoletta che cambiò la storia dell’automobile transalpina. Potete rileggere l’intera vicenda della 2CV, oltre ad alcune note biografiche di Boulanger, nell’articolo segnalato in questa pagina.

Chiudiamo la narrazione delle vicende Citroën precedenti al secondo conflitto mondiale tornando alla Traction Avant. Il modello si stava lentamente affermando, risolti i problemi iniziali. Quindi anche la nuova proprietà dell’azienda cominciò ad espandere la gamma, tuttavia senza gli eccessi del fondatore. Infatti l’imperativo era sempre quello di non perdere denaro. Per questo venne abbandonata l’idea di una versione con motore V8 (di cui negli anni precedenti era stato anche preparato un prototipo). Il modello di punta divenne invece la Traction 15 Six, lanciata nel 1938. Il motore a sei cilindri in linea 2.9 aveva una potenza di 77 cavalli, la vettura raggiungeva 130 Km/h. Negli anni, l’ultima versione del 1954 vide l’esordio, solo al retrotreno, delle sospensioni idropneumatiche.

Da sinistra: Pierre Boulanger, André Lefèbvre e Flaminio Bertoni

Il 29 dicembre 1937 Pierre Michelin morì in un incidente stradale, quindi nel 1938 Boulanger assunse la carica di presidente della Citroën. Durante la guerra, sotto l’occupazione nazista della Francia, Boulanger fece del suo meglio per sabotare la produzione obbligata di autocarri per la Luftwaffe: provocò rallentamenti nei processi produttivi, rifiutò contatti diretti con gli esponenti del regime, riuscì perfino a far sì che i motori destinati ai tedeschi avessero un difetto nascosto nella lubrificazione, cosicché dopo un po’ fondevano. Inoltre nascose i progetti della 2CV e fece distruggere i prototipi, per evitare di farli cadere in mani naziste. Per un soffio il dirigente non fu arrestato dalla Gestapo nel 1944, lo salvò solo l’invasione delle forze alleate.

Citroën DS, la dea

L’intera fase del dopoguerra alla Citroën è dedicata allo sviluppo e alla commercializzazione della 2CV. Messa in carreggiata la produzione dell’utilitaria, il cui successo nelle richieste colse di sorpresa la stessa azienda, (perché gli impianti non erano in grado di soddisfare una domanda così elevata), era tempo di pensare alla sostituta della Traction Avant, ormai obsoleta. Le idee preliminari per un nuovo modello di fascia alta furono abbozzate già durante il conflitto. Nome in codice VGD, Vehicule à Grande Diffusion, veicolo a grande diffusione. In senso relativo, poiché si trattava di un’ammiraglia. Nella fase cruciale della progettazione, venne a mancare la mente organizzativa dell’azienda: infatti Pierre Boulanger morì in un incidente stradale il 12 dicembre 1950. Il suo posto alla presidenza fu preso da Robert Puiseux, il quale confermò tutti i progetti in essere.

Il direttore del design della casa francese, l’italiano Flaminio Bertoni, arrivò alla forma quasi definitiva della Citroën DS fra il 1953 e il 1954. L’indicazione di massima che gli fu impartita dal capo dei progettisti André Lefèbvre, fu semplicemente questa: “Disegnala aerodinamica, quanto più vicina possibile ad una goccia”. Bertoni lo prese alla lettera, infatti arrivò alla forma definitiva dell’anteriore ispirandosi ad un pesce; era una domenica mattina di fine ’53, prese un blocco di gesso e ne ricavò la DS 19. La coda invece fu oggetto di infiniti aggiustamenti, addirittura a ridosso dell’avvio della produzione, tenendo comunque sempre come punto fisso la carreggiata più stretta di quella anteriore, sempre per ragioni aerodinamiche. Una curiosità: perché gli indicatori di direzione furono collocati in alto, sul montante? Il motivo sta proprio nelle infinite revisioni stilistiche della coda. Infatti fino al 1952 il posteriore era così aerodinamico, quindi il tetto spioveva con un angolo molto stretto, che non rimaneva abbastanza spazio per i passeggeri. Da qui la soluzione di sollevare il padiglione rinforzando di conseguenza il montante; il quale era così spesso che fu deciso di rendere più gradevole quello spazio inserendovi gli indicatori. Altro elemento di unicità di questa vettura.

L’aerodinamica, unita all’impiego di materiali leggeri (soprattutto aluminio e vetroresina), era la chiave per ottenere prestazioni sufficienti nonostante la scelta di un motore che non era certo un mostro di potenza. Innanzitutto la profilatura del cofano non lasciava spazio sufficiente per il sei cilindri della casa. Progettare un motore nuovo era fuori discussione (i costi non dovevano mai più andare fuori controllo), inoltre il sistema fiscale francese puniva in modo pesante le alte cilindrate; fu così dunque che la prima DS montò il propulsore della Traction Avant 11, quindi un quattro cilindri 1.9 da 75 cavalli (rivisto nella carburazione). Su un corpo vettura di 480 cm di lunghezza e circa 1.170 Kg di peso. Tra le berline concorrenti, l’Alfa Romeo 1900 del 1956 aveva 90 cavalli per 1.053 Kg; la Lancia Flaminia del 1957 montava un V6 2.5 da 102 cavalli per 1.460 Kg. Tuttavia grazie ad un Cx di 0,4, incredibile per una berlina di quell’epoca, la DS riusciva a raggiungere 135 Km/h anche con così poca potenza.

Dunque nel 1955 la Citroën DS venne presentata al salone di Parigi e monopolizzò l’attenzione di tutti. Una vera star fin dall’inizio. Venne soprannominata “la dea”, per la sua bellezza, sfruttando il gioco di parole in francese: DS si legge “de es”, cioè déesse che nella lingua d’oltralpe significa appunto dea. Geniale l’idea del marketing di sfruttare ulteriormente questo gioco qualche anno dopo con l’ingresso della Pallas, la versione più lussuosa, dedicata appunto alla dea greca Pallade Atena. Pallas diventò praticamente un sotto-brand, ripreso anche su diversi dei modelli successivi della casa. Oltre al design unico, la tenuta di strada fu la caratteristica che fece entrare la Citroën DS nella leggenda.

Non serviva il crick per sostituire una ruota della Citroën DS

Anche se confrontata con le odierne auto piene di elettronica (anzi, soprattutto per questo) le doti di questa vettura destano impressione: superato il temporaneo smarrimento proveniente da un rollio molto accentuato, in cui sembra che la macchina stia per rovesciarsi da un momento all’altro, ci si accorge invece che è incollata alla strada come una sportiva; inoltre la precisione in tutte le fasi della curva, dall’inserimento all’uscita, è impeccabile. Merito fondamentalmente di due componenti: un baricentro molto basso e le leggendarie sospensioni idropneumatiche.

Le sospensioni idropneumatiche che salvarono De Gaulle

Charles De Gaulle sulla Citroën DS presidenziale

Abbiamo visto che queste ultime esordirono alla spicciolata sull’ultima Traction, solo al posteriore, un anno prima che la sua erede venisse presentata. Ma è sulla DS che trovarono la casa ideale, perché qui la vettura fu progettata dall’inizio intorno a loro. La loro creazione è opera dell’ingegnere Paul Magès, esperto di idraulica. In un’epoca in cui l’elettronica era confinata nei dipartimenti militari, la Citroën costruì un’auto in cui le sospensioni riuscivano a variare l’altezza da terra del veicolo, mantenendolo inoltre sempre orizzontale; si garantiva così la neutralità aerodinamica (nessun rischio di “decollo” o testacoda perché l’assetto non si poteva sbilanciare verso uno dei due assi), mantenendo sempre il massimo comfort ed una eccellente tenuta di strada. Delle “sospensioni attive” ante litteram. Il sistema era semplice nel principio ma complesso nella realizzazione. All’avviamento del motore due correttori di altezza ricevevano olio da una pompa ad alta pressione; essi quindi riempivano i cilindri di sospensione di ciascuna ruota, fino a raggiugnere l’altezza desiderata; quando invece l’altezza superava il livello ottimale, delle valvole permettevano di scaricare la pressione del liquido, così la vettura scendeva.

Questo sistema permetteva alla DS di fare cose impossibili per qualsiasi altra vettura: ad esempio circolare su tre ruote, cosa che consentiva anche di sostituire una ruota senza usare il crick. L’esempio più famoso di questa prerogativa proviene da un celebre fatto di cronaca: l’attentato contro il presidente francese Charles De Gaulle del 22 agosto 1962 a Petit-Clamart, località appena fuori Parigi, in direzione dell’aeroporto militare di Villacoublay, dove De Gaulle era diretto dopo una riunione governativa. Un commando dell’organizzazione eversiva OAS aveva eseguito un assalto di tipo paramilitare contro l’auto presidenziale e quella del seguito, per l’appunto due Citroën DS. Furono sparati ben 187 proiettili, 14 dei quali colpirono l’auto di De Gaulle. Il lunotto andò in frantumi, il presidente e la moglie si sdraiarono sul sedile; entrambe le ruote anteriori vennero forate; tuttavia, le sospensioni della DS mantennero l’assetto, cosa che permise all’autista (dotato di eccezionale sangue freddo e notevoli doti di guida) di accelerare e allontanarsi dal luogo dell’imboscata. Nessuno morì nell’attentato, De Gaulle e la moglie ne uscirono illesi. Anche grazie alla Citroën.

La seconda serie della DS, lo squalo

Flaminio Bertoni, perfezionista fino all’estremo, lavorò senza sosta per migliorare il design della DS. L’ispirazione per il look della seconda serie gli venne un sabato mattina di dicembre nel 1963; si fece portare un muso completo in laboratorio e cominciò letteralmente a prenderlo a martellate. Non sappiamo se ad un certo punto, nella foga creativa, avesse detto alla lamiera “Perché non parli?” in stile Michelangelo; fatto sta che, armeggiando con plastilina e plexiglass, ricostruì in poche ore completamente la sezione anteriore della vettura: era nato il celebre muso di squalo che avrebbe caratterizzato la seconda serie.

Tuttavia Bertoni non fece in tempo a vederla circolare; il restyling entrò in produzione solo nel 1967, invece lui rimase vittima di un ictus che lo fulminò il 7 febbraio 1964; appare come una sorta di omaggio finale, il fatto che l’ambulanza su cui venne trasportato in ospedale nell’inutile tentativo di salvarlo fosse proprio una DS. La Citroën DS entrò nella leggenda per mai uscirne, per un motivo molto semplice: era unica, lo è ancora oggi e probabilmente lo resterà per sempre. Restò in produzione per un tempo molto lungo, ben 20 anni, fino al 1975, tra molte migliorie meccaniche (motori più potenti e l’introduzione dell’iniezione elettronica). Ne vennero prodotti 1.455.746 esemplari.

’60 e ’70, espansione e crisi

La Citroën GS

A metà degli anni Sessanta il grande successo di 2CV e DS, insieme a quello del furgone Type H, indusse i dirigenti della Citroën ad avviare una certa espansione. Nel 1965 venne acquisita la francese Panhard (con cui era in corso una collaborazione dal 1953) per creare una presenza nel segmento delle vetture medie, molto scoperto; nello stesso anno fu acquistata anche la Berliet, produttrice di camion.

Nel 1967 uscì la teorica erede della 2CV, cioè la Citroën Dyane, dotata della stessa meccanica e impostazione, solo un po’ più moderna ed economica; il suo compito iniziale doveva essere combattere la Renault 4 che aveva soppiantato la 2CV al vertice delle utilitarie, mentre la 2CV si sarebbe riposizionata un po’ più in alto, sfruttando il suo alone di status symbol. Anche per le vicende della Dyane vi rimandiamo all’articolo dettagliato.

Nel tentativo di sfondare nel settore delle sportive, nel 1968 venne acquisita anche la Maserati. Da questa operazione nacque nel 1970 la Citroën SM, un’auto strana: coupé ad alte prestazioni, il cui stile chiaramente era un’evoluzione della DS e che della DS prendeva le sospensioni idropneumatiche. Ma sotto il cofano batteva un possente motore V6 Maserati, anche se di cilindrata ridotta a 2.7 per le citate tasse francesi. I 174 cavalli e la velocità di 220 Km/h erano un bel biglietto da visita. Tuttavia la concorrenza con le gran turismo tedesche, italiane e inglesi era troppo forte, quindi la SM non ebbe il successo sperato. Servì comunque da base per la CX.

Il 1968 fu molto importante perché vide soprattutto l’inizio del disimpegno della Michelin, la quale cedette il 49% delle azioni Citroën alla Fiat (che in quel periodo era all’apice della propria forza industriale). Nel 1970 entrò in produzione la Citroën GS, la vettura media che riempiva il grosso buco tra 2CV e DS creato dal pensionamento della Traction: un vuoto durato ben 15 anni, presto riempito dalla concorrenza e che fece soffrire non poco la Citroën.

Ad ogni modo, la GS era in tutto e per tutto una DS più piccola, stesse sospensioni e stile ad essa ispirato (disegno di Robert Opron, successore di Bertoni), però motore 1.0. Il successo fu immediato e duraturo, la GS divenne col tempo il modello più venduto della casa. Fu prodotta fino al 1986 in 1.896.742 esemplari della prima serie e 576.757 della seconda serie a due volumi, la GSA.

Ma ancora una volta la Citroën, come ai tempi di André, aveva chiesto troppo alle proprie forze. Nel 1973 scoppiò la crisi petrolifera che si protrasse per alcuni anni. Maserati all’improvviso si rivelò un peso, data la sete dei suoi motori, ma anche per le sanguinose risorse drenate per sviluppare i suoi nuovi modelli; stesso destino per la joint venture Comotor con la tedesca NSU, nata per sviluppare un motore rotativo di tipo Wankel ad alte prestazioni e bassa cilindrata, ma esso era afflitto da elevati consumi. A ciò si aggiunsero i costi di sviluppo per la GS e la costruzione di una nuova fabbrica per la CX che avrebbe sostituito la DS. A quel punto i conti saltarono.

La Citroën era sull’orlo del fallimento. La Michelin cercò di venderla completamente alla Fiat, ma il governo francese si mise di traverso perché non voleva che un’importante azienda nazionale finisse in mani straniere (un’interferenza a cui lo Stato transalpino non era nuovo e che non avrebbe smesso di esercitare nemmeno in futuro, in tutti i settori industriali). Di conseguenza la Fiat si ritirò dalle trattative e riconsegnò alla Michelin il suo 49%. Era la fine del 1974 e praticamente anche la fine della Citroën.

Peugeot compra Citroën. La CX

La Citroën CX, erede della DS

Con gli imminenti licenziamenti di massa, a quel punto il governo cercò di correre ai ripari; fece acquisire Berliet alla sua Renault, mentre convinse la Peugeot a comprare la Citroën. Quindi nel dicembre 1974 Peugeot SA acquisì il 38,2% della Citroën e con esso il controllo dell’azienda. Nel 1975 la Maserati venne ceduta alla De Tomaso. Il 9 aprile 1976 l’acquisizione venne completata aumentando la partecipazione a quasi il 90%. Nacque dunque il Gruppo PSA Peugeot Citroën. La crisi petrolifera aveva avuto almeno un effetto positivo, il ritorno dell’interesse dei clienti verso le piccole e risparmiose 2CV e Dyane. A cui si aggiunsero presto la Visa e la LNA, basate sulla Peugeot 104 in un primo tentativo di standardizzazione e taglio dei costi.

Nel frattempo la “dea” DS si era ritirata nell’Olimpo e sulla terra era calata la sua erede, la Citroën CX, uscita nel gennaio 1975. Assolutamente fedele alla progenitrice ma adeguata ai tempi e molto tecnologica (montava motore e cambio trasversali, una rarità nel segmento delle ammiraglie); inizialmente la CX avrebbe dovuto avere un motore rotativo da 1.5 litri ma 160 cavalli, la potenza di un 3.0, Ma anche i suoi consumi, come abbiamo visto. Il problema è che telaio e carrozzeria furono progettati per le misure del Wankel, quindi non fu possibile metterci motori convenzionali a 6 cilindri, come quello della SM. Così all’ultimo momento si ripiegò sui vecchi quattro cilindri a carburatori della DS, il 2.0 da 102 cavalli e il 2.2 da 112 cavalli. Si dovette attendere il 1977 per vedere un motore ad iniezione, un 2.3 da 128 cavalli. Nel 1978 arrivò anche un diesel 2.5 da 75 cavalli. La Citroën CX ebbe un’onesta vita produttiva fino al 1991 con la vendita di 1.169.695 esemplari.

Tra due decadi, anni difficili. BX, AX e XM

La Citroën BX

Nonostante l’intervento della Peugeot, la fine degli anni ’70 fu molto difficile e addirittura la stessa PSA rischiò grosso con la seconda crisi petrolifera del 1979, che aggravò una pesante situazione finanziaria dovuta alle perdite dell’avventura di Peugeot con la Chrysler-Talbot (curiosamente, chiunque abbia messo le mani sulla Chrysler si è ustionato pericolosamente, ad esclusione di Sergio Marchionne che l’ha fatta diventare una gallina dalle uova d’oro); si aggiunsero anche gravi disordini sindacali in Francia. A catena la Citroën, ancora l’elemento debole del gruppo, rischiò nuovamente la bancarotta. A salvarla fu un nuovo modello che si rivelò molto popolare: la Citroën BX.

Con quest’auto la convivenza tra lo spirito avventuroso della Citroën e l’anima pragmatica della Peugeot trovò la quadra. La BX aveva lo stile tipico di una Citroën (ma il disegno fu di Marcello Gandini per la Bertone) e le sue leggendarie sospensioni; però la struttura e i motori derivavano dalla Peugeot 405. Di conseguenza i costi di sviluppo e produzione ne risultavano abbattuti. La BX uscì nel 1982 per sostituire la GS. Tante motorizzazioni, da 1.1 a 1.9, anche diesel e turbodiesel, potenze da 61 a 203 cavalli. Comoda e spaziosa, affidabile, originale: la BX accontentava tutti. Salvò i conti della Citroën e restò in produzione fino al 1994, vendendo 2.315.739 esemplari.

Gli anni ’80 proseguirono sotto il segno della tranquillità e stabilità finanziaria. Tuttavia la Citroën perse quel suo alone di originalità che l’aveva contraddistinta fin dalla sua nascita. I modelli si stavano appiattendo in modo eccessivo su quelli di Peugeot. In questa decade vediamo l’esordio nel 1986 della piccola AX che sostituiva la Visa (quando però ancora veniva prodotta la 2CV) e nel 1989 della XM, l’erede della CX. La AX appare piuttosto anonima. Tuttavia aveva ciò che serviva al suo pubblico: compatta ma comoda, costava relativamente poco e consumava poco. Fu un successo, oltre 2,5 milioni di esemplari in 13 anni di produzione.

La Citroën XM era sofisticata e moderna, molto bella (anche questa disegnata da Bertone), le sospensioni idropneumatiche vennero evolute, ora si chiamavano idrattive, ancora più precise. Ampia gamma di motori, tra cui anche un V6 3.0 a 24 valvole proveniente dalla specifica joint venture Peugeot-Renault-Volvo, potenza 200 cavalli. Oltre ad un 2.0 a quattro cilindri aspirato e uno turbo. Caratteristiche che spingevano ancora più in alto del solito il target della clientela, cioè il prezzo. Per questo le vendite non appaiono all’altezza dei modelli precedenti: 333.405 esemplari fino al 2000.

Nuovo millennio. Il ritorno all’originalità

Citroën C5

Le Citroën degli anni ’90 soffrivano troppo della vicinanza con la Peugeot: ZX (che pure aveva un asse posteriore sterzante, in netto anticipo sui tempi), Xantia, Saxo, Berlingo, Xsara, nessuna di loro ha lasciato realmente un segno, per quanto affidabili e ottime potessero essere. Ma non era più il 1948, il design contava eccome. La necessità di differenziare in modo più marcato l’aspetto dei modelli fra le due marche diventò una direttiva aziendale con l’avvento alla presidenza di PSA di Jean-Martin Folz. Il centro stile Citroën, diretto da Jean-Pierre Ploué, tornò ad infondere personalità alle vetture.

Nuovo millennio, nuova gamma. Nascono C1, C2, C3, C4 e C5 (e l’ammiraglia C6). La rottura con il passato è netta, il design è da Citroën, anche se nulla ha più a che fare con le epoche precedenti. Ma sotto resta fondamentale la condivisione delle parti. Si avviano nuove joint venture: con la Toyota per la citycar C1 (progetto comune con Peugeot 108 e Toyota Aygo); con la Mitsubishi per lo sviluppo di un’auto elettrica, perché lentamente le norme sulle emissioni diventano sempre più stringenti: nasce quindi la Citroën C-Zero, sorella di Peugeot iOn e Mitsubishi Miev. Ma soprattutto l’accordo con la Mitsubishi porta al primo SUV, carrozzeria che da lì a poco diventerà l’oggetto del desiderio di tutto il mondo: l’inaugurazione è di Citroën C-Crosser. PSA si espande anche in Cina tramite la joint venture con la Dong Feng. Poi proseguono le varianti “esotiche” delle monovolume, sotto il nome evocativo di Picasso. Il bestseller della casa è la compatta C3.

Le corse. I trionfi nei rally

La Citroën DS 4 WRC del 2007, campione del mondo rally con Sébastien Loeb

Un accenno alle competizioni. Dopo alcuni anni in cui la DS ottenne interessanti risultati, non si vide più un reale impegno diretto della Citroën fino al 1989, quando venne fondata la Citroën Racing. Nel 1991 arrivò la prima vittoria alla Parigi-Dakar con la ZX, ripetuta per altre tre volte dal 1994 al 1996. Nel 1998 la squadra entrò nel campionato del mondo di rally WRC con la Xsara. L’inizio del XXI secolo è stato segnato dal dominio della Citroën, vincitrice dal 2003 al 2012 di 8 titoli mondiali costruttori e di 9 titoli piloti con Sébastien Loeb. Dopo un momentaneo ritiro, la squadra corse è tornata ufficialmente nel WRC nel 2014, senza tuttavia ottenere finora risultati. Nel 2019 è stato ingaggiato Sébastien Ogier, il vincitore degli ultimi 6 mondiali.

Citroën oggi: SUV. Domani: ibride ed elettriche

Citroën C3 Aircross

Siamo al tempo presente. La crisi economica del 2008 ha creato seri problemi a tutta l’industria automobilistica e il Gruppo PSA ha dovuto ricorrere all’aiuto dello Stato francese della Dong Feng per non soccombere finanziariamente. Oggi la situazione è stata raddrizzata. Sotto l’impulso di Carlos Tavares l’azienda è tornata a crescere. Al vertice della Citroën oggi c’è Linda Jackson. I SUV diventano il cuore della gamma, affiancando le berline tradizionali: C3 e C5 ricevono la versione rialzata Aircross, il pubblico mostra immediato gradimento. La berlina media C4 Cactus prosegue nella tradizione del comfort assoluto e del design originale.

Le classiche sospensioni idropneumatiche sono andate nell’archivio delle storie leggendarie. Oggi al loro posto arrivano le semplici ed economiche, ma altrettanto efficaci, sospensioni con smorzatori idraulici progressivi. L’effetto ai fini del comfort è lo stesso, quello del famoso “tappeto volante”. Come l’antica DS. Ma ad un prezzo popolare. Il domani della Citroën sarà il territorio della nuova mobilità. Tutto da esplorare ma in piena preparazione grazie alle risorse di PSA. La parola d’ordine sarà: ibrido ed elettrico.

Leggi anche la Storia di Citroën sul sito ufficiale.

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