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Enzo Ferrari: il gigante che ha trasformato un sogno in realtà

Enzo Ferrari: la vita e la carriera di un personaggio senza il quale il mondo dell'automobile sarebbe profondamente diverso.

Monza, 11 settembre 1988, Gran Premio d’Italia di Formula 1. Un inaspettato doppio ritiro delle due McLaren Honda dominatrici della stagione (Alain Prost per un guasto e Ayrton Senna per un incidente) regala alla Ferrari (qui la storia della Rossa) una preziosa doppietta che solleva parzialmente un profondo velo di tristezza calato sui tifosi delle rosse e sull’intero ambiente che gravita intorno alla fabbrica di Maranello. Non solo per la lunga assenza di risultati di rilievo ma soprattutto perché poche settimane prima, il 14 agosto 1988, se n’era andato il grande vecchio.

Enzo Ferrari nel suo ufficio

Quel podio con Gerhard Berger sul gradino più alto e Michele Alboreto sul secondo fu naturalmente considerato un omaggio ad Enzo Ferrari. Sono passati tre decenni dalla sua morte. Un momento buono come tanti altri per riepilogare nuovamente la vita e la carriera di un personaggio senza il quale il mondo dell’automobile sarebbe profondamente diverso, senz’altro molto meno appassionante.

INDIMENTICABILE ENZO FERRARI

Nell’articolo pubblicato in occasione dei 120 anni trascorsi dalla sua nascita abbiamo percorso la prima parte della vita di Ferrari, dalla nascita alla prima gara disputata da una delle vetture che portavano il suo nome. E’ l’11 maggio 1947, a 49 anni Ferrari comincia un’altra avventura. Non contento di avere fisicamente creato la leggenda dell’Alfa Romeo nelle corse, ora vuole passare dall’altra parte della barricata, vincere nelle competizioni costruendo le proprie auto. E’ importante sottolineare questo aspetto.

Diversamente da quasi tutti i costruttori, per i quali le corse sono prevalentemente uno strumento pubblicitario per aumentare le vendite del marchio, la produzione e vendita delle vetture stradali per Enzo Ferrari è solo il mezzo per finanziare l’attività sportiva, il suo fine ultimo.

Enzo Ferrari a Modena in occasione del passaggio della Mille Miglia Storica

LA MILLE MIGLIA E L’EPILOGO DI NUVOLARI

Tuttavia in quella domenica di primavera del 1947 le cose non cominciano bene. Il pilota Franco Cortese è al comando della corsa di Piacenza quando, a due giri dal termine, la sua Ferrari 125 S si ferma per un guasto alla pompa della benzina. Ma la base è già di buon livello. Infatti il 25 maggio la vettura col Cavallino rampante sul cofano ottiene già la sua prima vittoria. Uno stuzzichino.

Gli aperitivi arrivano nel 1948. Si comincia con la Targa Florio, 3-4 aprile. Due 166 S della Scuderia Ferrari prendono il via. Al volante Cortese e l’esperto Clemente Biondetti. Sarà quest’ultimo a vincere. Un mese dopo si corre la Mille Miglia, 1-2 maggio. Ferrari è deciso a mettere il suo nome sulla più importante corsa stradale italiana e, probabilmente, del mondo. Affida le 166 S della sua scuderia ancora a Cortese e Biondetti, vincitore dell’edizione precedente. Ma offre due vetture anche a piloti che corrono in proprio: Fernando Righetti (copilota di Cortese alla Targa Florio) e, udite udite, Tazio Nuvolari. Proprio lui, il mantovano volante, la leggenda fra le leggende. A 56 anni è al tramonto della sua carriera ma la sua sete di vittorie non è certo spenta, sa che gli resta poco tempo per continuare a correre ai vertici.

In quella edizione corre come se fosse inseguito dal diavolo in persona. Consuma la macchina pezzo per pezzo; ad un certo punto gli vola via il cofano, poi si sbarazza del sedile, perché si muoveva nelle curve, proseguendo la corsa seduto su un sacco di limoni e arance. Nelle soste da più parti gli consigliano di ritirarsi perché la vettura sta letteralmente andando in pezzi.

Ma lui ha proseguito senza curarsene, affondando sempre il piede sull’acceleratore. Purtroppo la meccanica non era forte come lui e ad un certo punto si rompe una sospensione. Corsa finita. Disse ad Enzo Ferrari, il quale cercava di consolarlo dicendogli che sarebbe andata meglio il prossimo anno: “Ferrari, alla nostra età giorni così non ce ne sono più molti. Ricordatelo e cerca di godertela, se puoi”. Nuvolari aveva 6 anni più di Ferrari, essendo nato nel 1892. Morirà nel 1953 per un ictus.

Tuttavia la Mille Miglia 1948 finisce bene per Ferrari, perché Biondetti taglia il traguardo per primo. Un po’ irritato alla cena di gala della sera, perché tutti parlavano solo di Nuvolari, nel suo discorso esordì dicendo: “Scusate se ho vinto”.

L’INGRESSO IN FORMULA 1. IL BINOMIO CON ALBERTO ASCARI

Ormai la strada è tracciata. E’ tempo di preparare la scalata al mondo dei gran premi che sta tornando a riorganizzarsi dopo la guerra. Ferrari ingaggia un giovane pilota molto promettente, Alberto Ascari, figlio di Antonio, suo collega come pilota negli anni ’20 e uno degli alfieri della Scuderia Ferrari quando portava in pista le Alfa.

Arrivano vittorie a ripetizione a livello nazionale. E nel 1949 arriva la consacrazione internazionale. Si completa il trittico dei successi nelle categorie sport con la vittoria assoluta alla 24 ore di Le Mans, tornata a disputarsi dopo la ricostruzione postbellica. La Scuderia Ferrari non ha partecipato in forma ufficiale ma ha fornito supporto ai privati. La 166 con cui l’anno prima Biondetti ha vinto la Mille Miglia è stata acquistata dal barone inglese Lord Selsdon. Il quale figura nell’albo d’oro come pilota vincitore di quell’anno; tuttavia è salito in macchina solo nell’ultima mezz’ora, perché nelle altre 23 ore e 30 ha guidato il solo Luigi Chinetti, un record al di là dell’umano.

Siamo al 1950, viene istituita la Formula 1, categoria erede delle monoposto da grand prix dell’anteguerra. Ferrari partecipa dalla seconda gara, il GP di Monaco. Porta in pista la 125 C, progettata da Gioacchino Colombo e Aurelio Lampredi. Ma le cose non vanno benissimo. Da una parte l’Alfa Romeo è imbattibile, dall’altra mancano le prestazioni. A Monza esordisce la nuova macchina, la 375, motore V12 1.5 non compresso. Ma si dovrà attendere ancora, fino al GP di Silverstone del 1951, quando Froilan Gonzalez riesce nell’impresa di battere le Alfa a Silverstone. E’ qui che Enzo Ferrari pronunciò quella famosa frase: “Oggi mi sembra di avere ucciso mia madre”.

Nel 1952 l’Alfa si è ritirata dalle competizioni e i regolamenti cambiano per far partecipare alla F1 anche vetture di F2. Come appunto la Ferrari 500 F2. E’ l’apoteosi. Dominio totale della scuderia di Maranello che vince 7 delle 8 gare in calendario, 6 dei quali con Alberto Ascari, il quale si laurea campione del mondo. Nel 1953 si concede il bis. Il calendario prevede 9 gare e la Ferrari ne vince 7, cinque delle quali ancora con Ascari che si conferma iridato.

Nel 1954 e 1955 la Mercedes annienta tutta la concorrenza, per ritirarsi pochi mesi dopo la strage di Le Mans 1955, quando in un incidente una delle vetture tedesche volò sul pubblico uccidendo più di 80 persone. Nel 1955 muore Alberto Ascari durante una prova privata a Monza. La Lancia, per la quale “Ciccio” correva, si ritira e cede la vettura D50 a Ferrari che l’adatta e la usa per la stagione successiva. Nel 1956 approda alla corte di Maranello il campione dei campioni, Juan Manuel Fangio.

La Lancia-Ferrari è l’auto da battere. Ma la stagione è burrascosa a dir poco. Fangio e Ferrari litigano in continuazione. Ed è solo grazie al gesto estremamente altruistico del compagno di squadra Peter Collins che Fangio riesce a vincere il campionato. Infatti nell’ultima corsa a Monza l’argentino ha un guasto e l’inglese gli cede la propria macchina, nonostante fosse egli stesso in lotta per il titolo.

SANGUE SULLE PISTE. LE ACCUSE

Il 1956 è il punto più tragico di tutta la vita di Enzo Ferrari. Infatti il 30 giugno, dopo tanti anni di indicibili sofferenze, muore il figlio Dino a soli 24 anni, colpito dalla terribile distrofia muscolare. E’ talmente profondo e duro il colpo che Ferrari medita seriamente di cedere tutto e ritirarsi. Fortunatamente non lo farà mai.

Il 1957 è segnato dalla tragedia di Guidizzolo. In questa località in provincia di Mantova il 12 maggio, durante la Mille Miglia, il marchese Alfonso De Portago perde il controllo della sua Ferrari 335 S a causa dello scoppio di una gomma e finisce fuori strada, falciando il pubblico assiepato oltre il ciglio. Oltre ai due membri dell’equipaggio muoiono 9 spettatori, fra cui 5 bambini, oltre ad esserci parecchi feriti. Le polemiche successive sono molto violente ed Enzo Ferrari viene chiamato in causa come responsabile indiretto. La magistratura lo processa per omicidio colposo: viene accusato di aver fatto montare pneumatici non adatti alle prestazioni della vettura, da qui l’esplosione.

Un processo sommario, praticamente un linciaggio, gli viene inflitto invece dai media, che lo dipingono come un mostro. Addirittura l’Osservatore romano lo definisce come Saturno, il divoratore dei propri figli. Il quotidiano del Vaticano collega infatti la morte di un altro pilota della Ferrari, avvenuta due mesi prima, il 14 marzo, in un altro incidente: Eugenio Castellotti, a Modena durante le prove per un tentativo di record di velocità. Dimenticando che le corse sono intrinsecamente pericolose.

Ci vorranno quattro anni di dure battaglie giudiziarie a colpi di perizie per chiarire definitivamente che Ferrari non aveva fatto nulla di sbagliato e quindi viene assolto con formula piena. Invece la causa dello scoppio della gomma è uno degli “occhi di gatto” installati a bordo strada, quei doppi catarifrangenti che all’epoca sporgevano dall’asfalto. Verranno vietati su tutto il territorio nazionale.

Le tragedie dei piloti si accompagnano alle vittorie della Scuderia Ferrari. Il 6 luglio 1958 muore Luigi Musso in un incidente a Reims col compagno Mike Hawthorn. L’inglese vincerà il campionato per ritirarsi subito dopo, scosso dall’accaduto. Il 3 agosto 1958 accade l’incidente fatale di Peter Collins al Nürburgring. Altro lutto nel 1961, il più grave nella storia della Formula 1, prima e dopo. Il 10 settembre a Monza, alla staccata della Parabolica Wolfgang von Trips entra in collisione con Jim Clark; la Ferrari del tedesco va a sbattere contro le reti di protezione, che non proteggevano alcunché.

Dietro si trovano molte persone: la vettura ne uccide 15, oltre al pilota. In seguito a questo incidente scoppia una vera e propria rivolta interna, poiché si dimettono contemporaneamente 8 fra i dirigenti e tecnici più importanti, fra cui Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini. I motivi non sono mai stati veramente chiariti. Ferrari decide di promuovere a capo della direzione tecnica un giovanissimo ingegnere arrivato solo due anni prima: Mauro Forghieri.

L’EPOPEA DI LE MANS. LA RINUNCIA AL MATRIMONIO CON LA FORD

Dal punto di vista sportivo, la Formula 1 diventa molto avara di soddisfazioni. Infatti, tranne la parentesi del 1964, quando l’ex pluricampione mondiale di motociclismo John Surtees conquista per la Ferrari anche un titolo sulle auto, il mondiale sparirà da Maranello fino al 1975. Ma ci pensano le categorie sport a mantenere alto il livello. Infatti dal 1960 al 1967 la Ferrari si aggiudicherà ben 6 titoli mondiali per vetture sport prototipo. Saranno 12 in totale. Di quel periodo faranno parte anche 6 vittorie assolute alla 24 ore di Le Mans, su 9 totali.

In quella turbolenta decade Enzo Ferrari, che aveva la vista più lunga di tutti nell’ambiente, si rende conto che i tempi stanno cambiando e non è più possibile sostenere i crescenti costi delle competizioni mantenendo la dimensione artigianale. Per avere un futuro è necessario trovare un appoggio forte da parte di un grande soggetto industriale. Inizia nell’aprile del 1963 un corteggiamento a distanza di circa un mese tra Enzo Ferrari e Henry Ford II, figlio di Edsel, nipote del fondatore del colosso di Detroit. Il vantaggio di un matrimonio sarebbe reciproco: Ferrari assicurerebbe un futuro all’azienda e ai suoi dipendenti; Ford acquisirebbe un enorme prestigio nell’influente ed estremamente popolare ambiente delle corse, quindi un incalcolabile aumento del valore d’immagine.

Sembrava fatta. Ad aprile le parti quasi arrivano a concludere l’accordo sull’ingresso del Cavallino rampante nella scuderia dell’Ovale blu. Nascerebbero due società, una per la produzione industriale delle vetture stradali, controllata al 90% dalla Ford con Enzo Ferrari vicepresidente. L’altra per la costruzione delle vetture da competizione e la gestione delle attività sportive, in cui Enzo Ferrari avrebbe completa autonomia. Senonché Ferrari rovescia il tavolo proprio al momento di firmare il contratto: non avrebbe avuto alcuna autonomia gestionale nelle corse. “Ogni mia decisione doveva avere il benestare di Detroit”, ricorderà molti anni più tardi.

Ci sono anche delle interpretazioni di natura differente. Il compianto grande giornalista motoristico Oscar Orefici sostiene nel suo libro “Enzo Ferrari, l’ingegnere rampante” (Editalia, Roma, 1988) che in quel momento non era da escludere un intervento dietro le quinte della Fiat, qualche forma di garanzia segreta, per impedire che la Ferrari cadesse in mani straniere.

Seguono anni molto difficili, avari di soddisfazioni sportive e carichi di preoccupazioni per il futuro. La Ford si vendica dello smacco subito gettando in campo tutta la sua potenza industriale col preciso scopo di costruire una macchina che battesse in pista le Ferrari. Da lì a poco nascerà la mitica Ford GT 40 che annienterà la concorrenza, dominando la 24 ore di Le Mans sul finire della decade. E dopo gli americani ci si mettono i tedeschi, perché poco dopo comincerà l’epopea vincente della Porsche.

LA FIAT. IL RITORNO AL SUCCESSO. NIKI LAUDA

Ma la crisi tecnica passa in secondo piano rispetto a quella finanziaria. Il futuro va messo in sicurezza. Allora nel 1969 arriva l’accordo con Gianni Agnelli. La Fiat acquista il 50% delle azioni della Ferrari e il grande vecchio (diciamo anziano, aveva comunque 71 anni) mantiene completa autonomia nella gestione delle corse. Con qualche rammarico. Infatti ancora Orefici narra di una confidenza fatta al giornalista Gino Rancati, suo amico, tanti anni più tardi: “Se potessi ricomprerei la fabbrica. Quando nel 1969 la cedetti, avevo paura di morire. E la paura mi spinse a quel passo”.

Altri anni di sofferenza sportiva e umana: Lorenzo Bandini e Ignazio Giunti muoiono al volante di una rossa in terrificanti incidenti di gara. Arriviamo al 1974, l’anno della rinascita. Ferrari ingaggia un giovane austriaco molto metodico e rampante: Niki Lauda, il quale si affiancherà a Clay Regazzoni. In questa stagione la straordinaria sensibilità di Lauda per la meccanica permetterà di risolvere i problemi della monoposto 312 B3. La Ferrari vincerà comunque tre gran premi.

Ma nel 1975 la Ferrari torna nella posizione che le compete: il vertice. Dopo due gare arriva la nuova macchina, la 312 T. Niki Lauda comincia a martellare: 5 vittorie e diversi piazzamenti gli permettono di conquistare il suo primo titolo mondiale; l’iride torna a Maranello dopo 11 anni di assenza. Nel 1976 sembra esserci il bis. L’austriaco parte fortissimo, salendo sempre sul podio nelle prime 7 gare (vincendone 4).

Ma poi arriva il terribile incidente al Nürburgring in cui Niki rischia di finire bruciato vivo. Ustioni gravissime gli sfigureranno per sempre il volto. Ma la sua fibra e grande volontà lo riporteranno in pista dopo aver saltato solo due gare. Gli basta ottenere alcuni piazzamenti per controllare la rimonta in classifica di James Hunt. Fino all’ultima gara sotto la pioggia in Giappone, al Fuji. Lauda si ritira, non se la sente di proseguire. Hunt vince il mondiale per un punto ed Enzo Ferrari va su tutte le furie.

Niki Lauda

Tuttavia nel 1977 Lauda si riprende completamente. Al suo fianco Carlos Reutmann ha preso il posto di Regazzoni. La concorrenza per la Ferrari è molto forte, soprattutto da parte della Wolf di Jody Scheckter e della Lotus di Mario Andretti. Ma Niki è più costante, non commette errori e incamera sempre punti preziosi, al punto da intascare il suo secondo titolo mondiale con due gare d’anticipo sulla conclusione del campionato. Dopo il Gran Premio degli Stati Uniti Lauda annuncia il ritiro, rinunciando a terminare la stagione e facendo nuovamente imbestialire Ferrari. Il commendatore lo sostituirà con un giovane e ardito pilota canadese, tale Gilles Villeneuve.

IL TRIONFO DEL 1979. LA TRAGEDIA DI VILLENEUVE

Il 1978 è un anno di transizione. La Lotus ad effetto suolo trasforma per sempre le corse e non ce n’è per nessuno. Ma nel 1979 tutti prendono le contromisure. La Ferrari ingaggia Scheckter al posto di Reutmann. La vettura 312 T4 non riesce a creare l’effetto suolo in modo efficiente come la concorrenza, poiché monta un motore boxer, i cui cilindri sono contrapposti. Ma la potenza del propulsore e l’equilibrio generale della vettura fanno la differenza. Gli avversari sono molto forti, in particolare la Williams di Alan Jones e la Ligier di Jacques Laffite. Però Scheckter e Villeneuve sono nel complesso molto costanti. Il sudafricano vince a Monza davanti al compagno di squadra e incamera il titolo mondiale con due gare di anticipo.

1978: GIlles Villeneuve sulla Ferrari

Le stagioni 1980 e 1981 sono da dimenticare. Nel 1982 invece la Ferrari torna competitiva. La 126 C2 risolve i problemi delle versioni precedenti e rende il motore turbo del Cavallino affidabile, oltre che veloce. Tuttavia la concorrenza non sta a guardare. Renault e McLaren sono allo stesso livello. Il compagno di Villeneuve è il francese Didier Pironi. Nella terza gara in calendario, ad Imola, per una protesta molti team decidono di non partecipare. Praticamente Ferrari e Renault corrono da sole. Le due rosse si trovano presto al comando senza avversari. I piloti danno vita ad un lungo duello ma a pochi giri dalla fine il box espone il cartello “slow”, rallentare. Non ci sono ancora le radio nel 1982. Villeneuve è in testa, rallenta, presume che la squadra voglia congelare le posizioni. Ma Pironi interpreta il cartello diversamente. Secondo lui il cartello significa che si deve rallentare ma non rinunciare a superare. Così sorpassa il canadese, che non se lo aspettava. Pironi vince la gara. Villeneuve va su tutte le furie, sul podio è visibilmente contrariato. Minaccia di lasciare la squadra.

Non farà in tempo. L’8 maggio 1982, durante le qualifiche del GP del Belgio a Zolder, Gilles non s’intende con Jochen Mass, pilota March più lento in quel momento. Il ferrarista tenta di superarlo ma il tedesco lo chiude, credendo che il canadese sarebbe passato dall’altro lato. Collisione, la Ferrari decolla e si schianta contro le barriere, spezzandosi in due. Le cinture stranamente cedono e Villeneuve viene scaraventato fuori dall’auto. Colpirà un paletto con la testa. L’urto sarà fatale. Enzo Ferrari è testimone dell’ennesima vita spezzata di un pilota delle sue vetture. La scomparsa di Gilles lo colpirà in modo particolare. “Io gli volevo bene”, dirà. Qualche anno prima, in un’intervista ad Enzo Biagi, aveva dichiarato che Villeneuve gli ricordava la spregiudicatezza di Nuvolari e la semplicità di Collins.

La scuderia può ancora combattere per il titolo ma anche Didier Pironi subirà un gravissimo incidente, il 7 agosto durante le libere del GP di Germania ad Hockenheim. Sotto una forte pioggia il ferrarista non vede la Renault di Prost e la tampona. La Ferrari decolla e impatta violentemente al suolo col muso. Pironi sopravvive, ma gravissime ferite alle gambe gli troncano la carriera nelle corse. Il titolo piloti andrà a Keke Rosberg, sulla Williams. La Ferrari si consolerà col titolo costruttori. Che vincerà anche nel 1983, mentre la Brabham di Nelson Piquet le soffierà il titolo piloti.

L’EPILOGO

L’avventura di Enzo Ferrari si avvia alla fine. Nel 1984 le McLaren-Porsche di Lauda e Prost ammazzano il campionato. Nel 1985 la squadra ha la concreta possibilità di lottare per il titolo con Michele Alboreto, il quale riesce a stare davanti alla McLaren di Prost nella prima parte della stagione. Ma l’errata decisione, dello stesso Ferrrari, di cambiare fornitore delle turbine provocherà rotture a ripetizione. Siamo così al 1988. Il grande vecchio ha 90 anni ed è malato. In primavera le sue condizioni si aggravano al punto che il programmato incontro con papa Giovanni Paolo II, al quale Ferrari teneva particolarmente, non può avere luogo.

Così, nel pieno dell’estate e nel silenzio assoluto, il 14 agosto 1988 Enzo Ferrari muore. La sua riservatezza nella vita personale era tale che, nei suoi ultimi momenti, ha fatto promettere al figlio Piero di tenere il funerale in forma strettamente privata. Infatti la notizia raggiunge la stampa solo dopo alcuni giorni. Nella semplicità era nato, quel giorno del 1898, nella semplicità ha scelto di andarsene, pur essendo diventato uno dei personaggi più importanti che l’Italia abbia mai avuto. (visita anche il sito ufficiale)

(Foto dal sito press Ferrari)

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