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Scuderia Ferrari: 90 anni di trionfi

Scuderia Ferrari 90 anni
La Scuderia Ferrari compie 90 anni. Dalle corse negli anni Trenta con le Alfa Romeo ai trionfi in Formula 1 e negli sport prototipi. Da Nuvolari a Lauda, da Schumacher a Vettel e Leclerc

Tutti conosciamo e apprezziamo la Scuderia Ferrari. Il 16 novembre 2019 ricorrono ben 90 anni dalla sua fondazione. Ci riferiamo quindi non all’azienda produttrice di auto sportive (nata nel 1947), bensì alla squadra corse. Una storia molto lunga, costellata di successi e sconfitte, gioie e dolori, grandi imprese e anche tanti errori. Quasi un secolo in cui al volante delle rosse si sono avvicendati campioni leggendari, onesti piloti, promesse mancate, idoli delle folle, giovani in ascesa e anche navigati marpioni. Come in tutte le competizioni, accanto a risultati memorabili alla bandiera a scacchi si devono anche ricordare quelle vite spezzate negli incidenti, tanti lutti che aggiungono un valore incalcolabile ai successi a cui hanno fatto da contraltare. Perché le corse non possono esistere senza il rischio, nemmeno nell’attuale epoca ipertecnologica. Fino agli anni Ottanta, tutto ciò è ruotato intorno al suo naturale centro di gravitazione: Enzo Ferrari, l’agitatore di uomini, come egli stesso amava definirsi.

La nascita della Scuderia Ferrari

Scuderia Ferrari 90 anni
La sede della prima Scuderia Ferrari a Modena nel 1929

La storia della Scuderia Ferrari si può suddividere in due epoche principali, separate dalla seconda guerra mondiale. Nella prima fase fu la squadra che portava in pista le Alfa Romeo ufficiali, restando comunque un’entità indipenente. Dopo il conflitto nacque l’azienda Ferrari che partecipava alle competizioni direttamente in qualità di costruttore. Torniamo agli anni Venti. Enzo Ferrari era un buon pilota che aveva ottenuto discreti successi al volante delle Alfa. Parallelamente si stava preparando anche al momento in cui avrebbe smesso di correre.

Sentendo di avere buone doti di organizzatore, convinse alcuni soci a creare una scuderia in stretta collaborazione con l’Alfa Romeo, capace di attirare i migliori piloti e tecnici proprio perché godeva del supporto diretto della casa madre. Quest’ultima poteva staccarsi dal gravoso impegno delle corse e concentrarsi sull’attività produttiva, continuando però a beneficiare del ritorno d’immagine dato dalle vittorie delle sue auto. La scuderia avrebbe sostenuto se stessa grazie ai forti ingaggi che i gestori dei circuiti erano disposti a pagare per avere i piloti migliori ai propri eventi. Parlando di migliori, intendiamo proprio i grandi campioni dell’epoca: fra tutti, Tazio Nuvolari, Achille Varzi e Giuseppe Campari, oltre ad uno stuolo di validissimi comprimari.

L’epoca dell’Alfa Romeo

Scuderia Ferrari 90 anni
L’Alfa Romeo Tipo B – P3 dominò i gran premi con la Scuderia nella prima metà degli anni ’30

Ma ciò non avvenne subito. L’atto di fondazione della Scuderia Ferrari venne firmato presso un notaio di Modena il 16 novembre 1929. Tra i soci figuravano con piccole partecipazioni la stessa Alfa Romeo e la Pirelli. Il debutto in gara della Scuderia Ferrari avvenne alla Mille Miglia del 1930, schierando tre Alfa 6C 1750 con Luigi Scarfiotti, Eugenio Siena e Mario Tadini (il presidente della Scuderia, Ferrari ne fu inizialmente il direttore). Non andò bene, nessuna vettura arrivò al traguardo, mentre le Alfa ufficiali dominarono la corsa. Il 15 giugno di quell’anno Nuvolari colse la prima vittoria con i colori della Scuderia su una P2 alla Trieste-Opicina, una gara in salita. La situazione rimase più o meno la stessa fino al 1933. L’Alfa Tipo B, meglio conosciuta come P3, stava dominando i gran premi, mentre le 8C erano le regine delle corse su strada: tutti capolavori creati dal grande progettista Vittorio Jano. Nel frattempo alla fine del 1931 Enzo Ferrari chiuse definitivamente la carriera di pilota, era imminente la nascita di suo figlio Dino (avvenuta il 19 gennaio 1932).

Alla fine del 1932 la gravissima crisi finanziaria dell’Alfa Romeo rese impossibile continuare ad impegnarsi direttamente nelle corse, così la Scuderia Ferrari rilevò macchine e gran parte della struttura, progettisti compresi. Così Nuvolari, Varzi, Campari e compagnia videro sulle proprie Alfa lo stemma del Cavallino rampante. La casa madre invece qualche mese più tardi venne nazionalizzata e inglobata nel mammut dell’IRI, a cui seguì una profonda ristrutturazione. Ma a livello sportivo il Biscione sopra al Cavallino (anche se tecnicamente era il Cavallino a montare sul Biscione) continuò a dominare in tutte le categorie delle corse europee: gran premi, 24 ore di Le Mans, Mille Miglia, Targa Florio.

Tazio Nuvolari nel 1935 su un’Alfa col Cavallino rampante sul cofano

Tuttavia questa stagione fu molto breve. Gli sforzi finanziari per rimettere in sesto la produzione aziendale assorbivano tutte le risorse al Portello, quindi anche progettazione e sviluppo delle vetture da corsa declinarono. Nel 1934 irruppero prepotentemente sulla scena gli squadroni tedeschi di Mercedes e Auto Union, sostenuti finanziariamente dal governo. Nel 1937 il primo capitolo della Scuderia Ferrari si chiuse con lo scioglimento della società e il ritorno diretto dell’Alfa nelle competizioni, Enzo Ferrari ne divenne il direttore sportivo. Potete rileggere queste vicende in maggiore dettaglio nell’articolo dedicato alla prima parte della vita di Enzo Ferrari, dalla nascita al 1947.

Dopo la guerra: la Scuderia diventa Ferrari

La 125 S, prima vettura costruita dalla Ferrari, all’ingresso della fabbrica di Maranello

Furono anni burrascosi per Ferrari: non solo i risultati sportivi dell’Alfa non tornarono ai livelli precedenti, ma i rapporti con la dirigenza aziendale si fecero sempre più tesi, fino alla rottura definitiva, avvenuta alla fine del 1939, quando la seconda guerra mondiale era già scoppiata però l’Italia non era ancora entrata nel conflitto. La storia è arcinota: Enzo Ferrari accettò un accordo in cui egli s’impegnava per almeno quattro anni a non partecipare a competizioni o produrre auto col proprio nome. Non ci rimise nulla, ormai l’attività civile era bloccata per entrare nell’economia di guerra. Tornata la pace, l’11 maggio 1947 si aprì il secondo capitolo della Scuderia: l’esordio in corsa, a Piacenza, della 125 S, la prima vettura prodotta dalla Ferrari.

La Formula 1, da Ascari a Lauda e Villeneuve

Enzo Ferrari nacque nel 1898 e morì nel 1988

Dalla Mille Miglia ai trionfi nella nuova Formula 1 con Alberto Ascari, al dominio negli sport prototipi e alla 24 ore di Le Mans negli anni Sessanta, al lungo digiuno terminato con l’arrivo di Niki Lauda, al titolo di Scheckter e alla breve ma indimenticabile storia di Gilles Villeneuve: circa quarant’anni in cui la Scuderia Ferrari ha costruito la propria leggenda. Tutto riassunto nel nostro articolo sulla seconda parte della vita di Enzo Ferrari.

La Scuderia dopo Ferrari: da Prost a Schumacher

Scuderia Ferrari 90 anni
Michael Schumacher dopo una delle sue 91 vittorie in Formula 1

Nel 1989, sebbene la stagione di Formula 1 fosse stata dominata dalle McLaren, la Ferrari inviò alcuni incoraggianti segnali. Il progettista John Barnard scelse di dotare la monoposto di un innovativo cambio semiautomatico (al che, in aggiunta alla recente introduzione delle comunicazioni radio tra piloti e box, il campione del mondo 1980 Alan Jones commentò: “Io ci metterei pure l’aria condizionata”). Il quale, nonostante una sorprendente vittoria di Nigel Mansell nel gran premio inaugurale della stagione, soffrì di pesanti problemi di affidabilità, arrivarono rotture a ripetizione. Mansell vinse ancora in Ungheria, rimontando dalla dodicesima posizione in una gara memorabile in cui ci mise molto del suo.
Nel 1990 la storia fu diversa. La vettura di Barnard finalmente trovò la maturità e il cambio smise di dare problemi. Inoltre al posto di Gerhard Berger arrivò Alain Prost, fresco di titolo mondiale. La sua personale sfida con Ayrton Senna continuava, ma questa volta partendo da Maranello. Fu essenzialmente un duello alla pari, durante il quale il francese trovò pure il tempo di scontrarsi spesso anche con Mansell; non che l’inglese avesse un caratterino facile, del resto. Senna mantenne un certo vantaggio in classifica, fino alla gara decisiva di Suzuka, stampata nella memoria di tutti.

Senna in pole position ma collocato in una posizione sfavorevole in griglia (tante polemiche per il rifiuto della direzione di corsa, aizzata dal presidente federale Jean-Marie Balestre, d’invertire le piazzole), Prost secondo; il brasiliano partì male per lo sporco, il ferrarista arrivò davanti alla staccata della prima curva, ma Senna si buttò dentro dove non poteva esserci spazio; contatto, entrambi nella sabbia, il pilota della McLaren vinse matematicamente il titolo.
Nel 1991 invece la Ferrari sprofondò in una totale crisi tecnica, accentuata dai rapporti sempre più tesi fra Prost e la squadra. Memorabile la frase che portò al suo licenziamento: dopo la gara in Giappone chiusa al quarto posto ma quasi doppiato, il francese si sfogò con la stampa nazionale dicendo “Questa Ferrari mi sembra un camion”. Altri tempi. A Maranello ritennero che quelle parole fossero un tantino pesanti, così tolsero bruscamente il sedile a Prost.

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Michael Schumacher ha vinto 5 dei suoi 7 titoli mondiali con la Ferrari

La Ferrari tornò nel buio più completo. Jean Alesi, Ivan Capelli, nuovamente Gerhard Berger: nessuno di questi piloti poté fare qualcosa per raddrizzare una situazione drammatica. Fino al 1996, quando tutto cambiò. Dalla Jordan venne ingaggiato il pilota irlandese Eddie Irvine. Poi a Maranello praticamente saccheggiarono gran parte della scuderia Benetton che aveva vinto gli ultimi due mondiali. Arrivarono il direttore tecnico Ross Brawn, grande stratega, e il progettista Rory Byrne. Ah, già, anche un pilota: un certo Michael Schumacher. Le vicende della Ferrari dal 1996 al 2006 sono ovviamente legate a doppio filo a quelle del grande campione tedesco. Le abbiamo riassunte in questo articolo.

Da Raikkonen ad Alonso, alti e bassi

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Kimi Raikkonen, campione del mondo 2007

Dopo il (primo) ritiro di Schumacher, nel 2007 approdò a Maranello un giovane finlandese che aveva ottenuto parecchi risultati di rilievo alla McLaren: Kimi Raikkonen. Mentre tramontava la stella della Renault, la Ferrari e la stessa McLaren si batterono a livello ravvicinato per tutta la stagione. Raikkonen era affiancato da Felipe Massa, la squadra inglese poteva contare sul campione uscente Fernando Alonso e sull’esordiente Lewis Hamilton. Il quale fece subito capire a tutti di che paste fosse fatto, al punto da lottare per il titolo col compagno di squadra e con Kimi. Fu una stagione serratissima e il ferrarista la spuntò letteralmente all’ultimo metro della stagione, in Brasile. Campione del mondo lui e titolo costruttori alla Scuderia.

Nel 2008 la Ferrari andò vicina al bis. Ancora una lotta incredibile con la McLaren: Hamilton era già una stella di prima grandezza e lottò col coltello tra i denti con Massa. Nell’ultima gara in Brasile Felipe tagliò per primo il traguardo sotto la bandiera a scacchi; in quel momento, data la posizione di Lewis, il ferrarista pensò di essere campione del mondo e con lui tutto il box. Ma il giovane inglese riuscì a superare letteralmente all’ultima curva la Toyota di Timo Glock, ottenendo la posizione che gli serviva (la quinta) per vincere il campionato. Fu il primo di una lunga serie. Felipe venne beffato, la Ferrari si consolò con il titolo costruttori. Era il sedicesimo titolo iridato in Formula 1. Nessuno pensava in quel momento che sarebbe stato anche l’ultimo, almeno fino al 2019.

Il 2009 fu un’annnata storta. La vettura non era al livello della sorprendente Brawn-Mercedes, la migliore nella prima parte della stagione, né della Red Bull-Renault, salita al top nella seconda. Raikkonen centrò una sola vittoria a Spa e due podi. Felipe Massa ottenne solo un terzo posto in Germania e nelle qualifiche della gara successiva, in Ungheria, ebbe un grave incidente: una molla si staccò dalla Brawn di Barrichello e colpì il casco di Felipe che lo seguiva. Il ferrarista uscì di pista e riportò una commozione cerebrale. Fu costretto a saltare il resto della stagione.

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Fernando Alonso ha sfiorato il titolo mondiale con la Ferrari nel 2010 e 2012

Nel 2010 Kimi salutò la squadra e al suo posto arrivò Fernando Alonso. La macchina non era malvagia, tutt’altro. Infatti lo spagnolo se la giocò fino all’ultima gara con le Red Bull di Sebastian Vettel e Mark Webber e la McLaren di Hamilton. Il ferrarista vinse quell’anno cinque gran premi. Nell’ultima corsa, ad Abu Dhabi, quattro piloti potevano ancora aggiudicarsi il titolo. Alonso aveva un piccolo margine di vantaggio sugli altri, ma dopo l’ultima sosta ai box trovò davanti a sè la Renault di Vitaly Petrov che non riuscì mai a superare, perdendo contatto da quel quarto posto che gli serviva per vincere il titolo con Vettel in testa al gran premio. Così il tedesco conquistò il primo dei suoi quattro mondiali. La stagione 2011 ha avuto un padrone assoluto, Vettel, vincitore di 11 gran premi. Fernando non riuscì mai ad avvicinare il giovane tedesco e fu piuttosto in ombra, vincendo una sola gara, a Silverstone.

Nel 2012 invece la rossa tornò competitiva e Alonso se la giocò con Vettel fino alll’ultima gara, ma gli mancò quel guizzo supplementare per rovesciare la situazione. In Brasile il tedesco, pure in mezzo a molti problemi, agguantò per un soffio la sesta posizione che gli permise di conservare il titolo mondiale per soli tre punti. Nel 2013 un discreto inizio con due vittorie fa illudere la Ferrari e Alonso. Ma Vettel infila una seconda parte letale, vincendo gli ultimi 9 gran premi stagionali, arrivando a 13 in totale. Devastante. Nel 2014, oggi, comincia l’era turbo ibrida. La Mercedes spazza via tutti e la Ferrari non ha né capo né coda. Fernando Alonso chiude amaramente la sua ultima stagione a Maranello, senza vittorie e due soli podi. E’ tornato Raikkonen, però il meglio che riesce ad ottenere è un quarto posto.

La Scuderia Ferrari oggi: Vettel e Leclerc

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Sebastian Vettel dopo la vittoria al GP del Bahrain del 2017

Nel 2015 approda a Fiorano nientemeno che Sebastian Vettel. I problemi sono ancora tanti, la macchina è troppo lontana dalla corazzata Mercedes che continua a fare il bello e il cattivo tempo. Ma Sebastian riesce a vincere tre gran premi e arriva per tre volte secondo. Sembra l’inizio di un ritorno al vertice per la Ferrari. Invece era un’illusione. Perché il 2016 sembra la replica del 2014, la rossa è del tutto irrilevante. Le uniche due gare “lasciate libere” dalla Mercedes le vincono le Red Bull e Vettel termina in classifica al quarto posto, appunto dopo Daniel Ricciardo.

Ma il 2017 è l’anno della riscossa. Vettel parte a razzo e nelle prime sei gare vince tre volte e ottiene tre secondi posti. Non abbastanza per fermare Lewis Hamilton, però almeno questa volta la Mercedes non ha avuto la vita troppo facile. Il ferrarista riuscirà a vincere altri due gran premi. Il 2018 comincia ancora meglio e sembra la volta buona. Sebastian vince le prime due gare, Lewis arranca. Si arriva a metà stagione con Vettel in testa al mondiale. Ma ad Hockenheim, dove parte in pole position, a circa metà gara il ferrarista esce di pista sul bagnato e la sua corsa finisce lì. Secondo in Ungheria, dopo la pausa estiva vince ancora a Spa. Si arriva a Monza con la netta sensazione di avere il mondiale in mano, le due rosse partono anche in prima fila con Kimi in pole.

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Charles Leclerc sul podio di Spa 2019, la sua prima vittoria in Formula 1

Invece da quel momento Sebastian e la Ferrari non ne indovinano più una. Alla partenza Vettel viene attaccato da Hamilton alla Roggia e lo tocca, si gira, rientra ai box, gara compromessa. Poi Hamilton andrà a vincere. Nel frattempo la Mercedes recupera quello svantaggio tecnico che l’aveva tenuta dietro alla Ferrari per tutta la stagione. Vettel non sembra più lui, non trova più il bandolo della matassa. Invece Hamilton infila un finale di stagione da paura, vincendo cinque delle ultime sette gare e con esse il suo quinto titolo mondiale. Siamo al presente, il 2019. La Ferrari avvia un ricambio generazionale, Kimi se ne va e arriva il giovane monegasco Charles Leclerc. Ma la stagione vede un solo colore, l’argento con la stella a tre punte. Ancora quasi come il 2014: le Mercedes ammazzano subito il campionato con cinque doppiette consecutive nelle prime cinque gare e la vittoria dei primi otto gran premi.

La rossa soffre, soprattutto dal punto di vista aerodinamico. Però dal punto di vista della performance lo svantaggio dalla Mercedes non è abissale. Tuttavia tra errori dei piloti, alcune rotture e  qualche decisione discutibile dei commissari di gara, il treno del campionato si allontana irrimediabilmente. Però la rossa ha del potenziale e in una breve fase è riuscita anche ad esprimerlo. Infatti la Ferrari vince tre gran premi consecutivi dopo la sosta estiva: Spa e Monza con Leclerc, il quale conferma in pieno il suo talento, e Singapore con Vettel che interrompe un digiuno troppo lungo. Tuttavia è stata una fiammata breve. L’autunno ha ancora visto solo le Mercedes sul gradino più alto del podio, con Lewis Hamilton che ha conquistato il sesto titolo mondiale. Al momento in cui scriviamo mancano ancora due gare alla conclusione, ma il campionato è a tutti gli effetti terminato, se non per le statistiche. Si attende il 2020 per un altro capitolo della lunga e gloriosa storia della Scuderia Ferrari.

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