L’uscita del film “Le Mans ’66”, diretto da James Mangold e interpretato da Matt Damon e Christian Bale, ha riportato l’attenzione degli appassionati su un episodio ben saldo negli annali dell’intera storia automobilistica, oltre le competizioni (uscita nelle sale il 14 novembre).
Perché non di sole corse si tratta. L’avvenimento costituì l’apice di una vicenda nata dalle esigenze industriali convergenti di un gigante come la Ford e di un’azienda di piccole dimensioni come la Ferrari degli anni Sessanta, poi tramutatasi nello scontro fra due grandi personalità come Henry Ford II ed Enzo Ferrari; lotta che spinse successivamente l’azienda di Maranello nell’orbita della Fiat invece che in quella di Detroit come in origine si stava predisponendo. Tracciamo allora un riepilogo di questa storia come avvenne nella realtà. Di conseguenza per parlare del 1966 prima dobbiamo tornare indietro al 1963.
Ford e Ferrari, l’idea di mettersi insieme
Enzo Ferrari raccontò nel suo libro “Le mie gioie terribili” l’antefatto di tutta la vicenda in questione. Nell’aprile del 1963 la Ford, tramite la filiale italiana, gli propose una collaborazione: inizialmente per realizzare un prototipo gran turismo che sarebbe stato successivamente prodotto in grande serie per il mercato europeo; in altri termini, un ampliamento consistente nell’attività della fabbrica, quindi un preludio ad una vera e propria integrazione del Cavallino nella struttura del colosso americano.
Enzo Ferrari si mostrò interessato alla proposta, poiché per sostenere i costi sempre più ingenti delle corse gli servivano mezzi di cui lui non disponeva; solo uno sviluppo dell’azienda avrebbe generato i capitali necessari. E lui voleva occuparsi direttamente solo delle competizioni; fare l’industriale in senso stretto non gli era mai interessato. D’altra parte era necessario anche assicurare un futuro alle famiglie dei dipendenti che lavoravano a Maranello. L’accordo sembrava fatto, il 15 maggio le due parti si riunirono per firmare.
Ma all’ultimo momento tutto saltò per aria: il contratto prevedeva che la gestione sportiva sarebbe comunque stata sottoposta all’approvazione di Detroit, contrariamente a quanto inzialmente era stato discusso. Enzo Ferrari rifiutò la firma. Ognuno avrebbe continuato per la propria strada. Questa decisione avrebbe comportato più avanti una scelta strategica sul lungo termine che sfociò nel 1969 con l’arrivo della Fiat come socio di maggioranza della Ferrari: Torino comprò il 50% delle azioni con l’impegno di rilevare il 40% appartenente ad Enzo Ferrari dopo la morte del grande vecchio, il quale mantenne a vita piena autonomia nella gestione sportiva; il restante 10% delle quote aziendali andò al figlio Piero.
Missione: battere la Ferrari
Henry Ford II, presidente della casa dell’ovale blu, nipote del fondatore, non la prese bene. Contava molto su quell’accordo: il valore pubblicitario e promozionale proveniente dalle corse era enorme, ciò che serviva a Detroit per espandersi internazionalmente, soprattutto in Europa. Acquisire una struttura vincente come la Ferrari avrebbe fatto risparmiare notevoli costi in termini di tempo e denaro rispetto allo sviluppo diretto partendo da zero. Questa era la strategia suggerita da Lee Iacocca, all’epoca astro nascente fra i top managers della casa. Henry Ford II ritenne quindi uno sgarbo il rifiuto del Drake all’ultimo momento, così decise che la Ferrari doveva allora essere battuta in pista, ad ogni costo. Poiché l’obiettivo industriale ruotava intorno alla produzione di vetture gran turismo, il terreno di scontro fu la categoria degli sport prototipi, quindi le corse endurance. Servivano partners esperti dell’ambiente. La Lola, che già correva a Le Mans con un motore Ford V8, fornì due telai e supporto per un anno allo sviluppo, affidato a John Wyer, proveniente dalla Aston Martin. La favolosa Ford GT40 nacque in questa fase, costruita in Gran Bretagna nella fabbrica della Lola a Bromley. Sul nome: GT ovviamente significa Grand Touring, gran turismo, mentre il numero 40 indica l’altezza della vettura in pollici (40,5 per l’esattezza), pari a 103 cm.
La Ford GT40: Shelby e Miles
La prima versione della Ford GT40 (Mark I o MK I, come si usa dire tra gli anglosassoni) fu presentata nel 1964, in primavera. Il motore 4.7 V8 fu lo stesso che la Lotus aveva montato l’anno precedente sulla monoposto per la 500 miglia di Indianapolis. La GT40 scese subito in pista a maggio per la 1000 Km del Nürburgring, ritiro per la rottura di una sospensione. Andò ancora peggio tre settimane dopo alla 24 ore di Le Mans, tre vetture in gara e tre ritiri. Poco più avanti, in assenza di risultati, Wyer fu silurato e la squadra corse affidata a Matt Damon.
Anzi, alla persona reale che l’attore ha interpretato nell’odierno film, cioè Carroll Shelby e la sua scuderia Shelby American. A questo punto facciamo anche la conoscenza di Christian Bale, cioè il britannico Ken Miles. Sia Shelby che Miles erano piloti. Il primo aveva vinto la 24 ore di Le Mans nel 1959 per ritirarsi subito dopo; il secondo non aveva ancora ottenuto risultati di rilievo quando arrivò alla squadra di Shelby; era tuttavia molto bravo nella messa a punto dell’auto e in questa veste apportò un importante contributo allo sviluppo della GT40.
Che nella seconda versione, la MK II con motore di cilindrata aumentata a ben 7 litri e circa 475 cavalli, cominciò a macinare successi. Risolti i problemi di stabilità, freni e affidabilità meccanica, nel 1965 ci fu un primo assaggio con la vittoria a Daytona (al volante Miles e Lloyd Ruby) e il secondo posto assoluto alla 12 ore di Sebring, una delle tre grandi classiche dell’endurance (dopo Le Mans e Daytona), piloti Miles e Bruce McLaren. Ma a Le Mans il 1965 fu ancora un anno per la Ferrari che piazzò tre vetture ai primi tre posti, il suo sesto successo consecutivo sulla Sarthe. Sarebbe stato l’ultimo, a livello di classifica assoluta.
Le Mans 1966, la grande sfida
Nel 1966 si capì presto con chi tutti avrebbero dovuto fare i conti. A febbraio tre Ford GT40 monopolizzarono il podio a Daytona, in cui per la prima volta la gara si disputò sulla distanza di 24 ore; Ken Miles e Lloyd Ruby furono i vincitori. A marzo stesso risultato alla 12 ore di Sebring. E così si giunse a giugno alla celebre 24 ore di Le Mans del 1966. La Ford non aveva lasciato nulla al caso: iscrisse ben 15 vetture, ne furono accettate 8, una tattica che la stessa Ferrari aveva perfezionato negli anni. Sei di quelle otto erano preparate dalla Shelby; di queste, tre erano seguite in pista direttamente. Piloti: Dan Gurney e Jerry Grant sull’auto che portava il numero 3; Bruce McLaren e Chris Amon sulla numero 2; Ken Miles e Denny Hulme sulla numero 1. Altre GT40 su squadre indipendenti vedevano piloti di grande livello, come Graham Hill e Mario Andretti.
La Ferrari rispose alla sfida portando la nuova 330 P3; rispetto alla P2 che sostituiva aveva un telaio con coda più corta, per questioni aerodinamiche; ne conservava il motore V12 4.4, la cui potenza salì a 420 cavalli grazie all’iniezione. Restavano sempre una cinquantina di cavalli di svantaggio sulle Ford. Ma a Le Mans la macchina rappresenta solo metà dell’equazione. Le vetture ufficiali (solo due a causa di una raffica di scioperi che impedirono la preparazione in tempo della terza macchina, prevista per Giancarlo Baghetti e Umberto Maglioli), furono affidate agli equipaggi John Surtees/Ludovico Scarfiotti e Lorenzo Bandini/Jean Guichet. Una terza auto a carrozzeria aperta fu portata in pista dalla NART (la squadra dell’importatore americano Ferrari, Luigi Chinetti), al volante Pedro Rodriguez e Richie Ginther. Surtees tuttavia non prese parte alla gara perché litigò con la squadra che aveva scelto Scarfiotti come partente; l’inglese lasciò il team subito dopo le prove, il suo posto venne preso da Mike Parkes.
La gara: dominio sofferto
Il via fu dato da Henry Ford II in persona, altro segnale di quanto importante fosse quella gara dalle parti di Dearborn. Asfalto umido. Dopo un’ora già tre GT40 erano in testa, Dan Gurney davanti a Graham Hill. Resisteva nello stesso giro la Ferrari di Rodriguez. Intanto Miles metteva a segno giri veloci uno dopo l’altro, passando in testa nell’ora successiva. Ritmo pazzesco, dopo quattro ore i primi tre avevano già doppiato tutti: Miles e Gurney precedevano Rodriguez. La pioggia corse relativamente in aiuto della Ferrari, nel senso che il bagnato impediva alle Ford di far valere la potenza supplementare. Al punto che in piena serata si trovarono in testa due rosse, quelle di Ginther e Parkes; ma le Ford di Miles e Gurney restavano vicine, nello stesso giro; non appena smise di piovere si riportarono al comando.
Durante la notte la Ferrari di Scarfiotti ebbe un incidente e quella di Rodriguez ruppe il cambio. Solo Bandini resisteva, ma dopo 17 ore di corsa, il suo motore andò in fumo. La Ferrari alzò bandiera bianca. A quel punto si trattava solo di stabilire quale Ford avrebbe vinto. Ma per vincere si deve arrivare al traguardo, quindi il box americano intimò ai piloti di rallentare i tempi sul giro, per diminuire rischi di guasti o incidenti. Tuttavia gli equipaggi Gurney/Grant e Miles/Hulme continuarono a dare il massimo, perché a nessuno piace arrivare secondo quando può vincere. Così in mattinata una rottura fermò Gurney. Le GT40 occupavano ancora i primi tre posti, ma erano anche le ultime Ford rimaste. Miles in testa, McLaren secondo nello stesso giro, terzo a dodici giri l’equipaggio Ronnie Bucknum/Dick Hutcherson della scuderia Holman & Moody.
Le Mans 1966, l’arrivo controverso
Il direttore sportivo della Ford, Leo Beebe, volle anche strafare: decise di “annullare” la gara, nel senso che diede ordine a Miles di rallentare per aspettare l’arrivo di McLaren e quindi far tagliare il traguardo alle due macchine contemporaneamente, per ottenere una vittoria ex aequo. Ma il regolamento non lo consentiva (e il direttore di gara lo disse a Beebe): infatti stabiliva che in caso di parità avrebbe vinto la macchina che avesse coperto la maggiore distanza all’attraversamento del traguardo un giro dopo lo scadere delle 24 ore. Però la vettura di McLaren/Amon era partita in griglia circa 20 metri più indietro rispetto a quella di Miles/Hulme; quindi se avessero tagliato il traguardo contemporaneamente, la vittoria sarebbe andata ai due neozelandesi.
E così fu. Addirittura McLaren passò sotto la bandiera a scacchi leggermente avanti; c’è chi dice che Miles avesse rallentato di più apposta, furente per l’ordine di scuderia. Tuttavia questa ipotesi non è mai stata provata. Ci fu una certa confusione all’arrivo, poiché non c’era l’immediata certezza su chi avesse effettivamente vinto. Bruce McLaren e Chris Amon inaugurarono la prima di quattro vittorie consecutive della Ford GT40 alla 24 ore di Le Mans. Per Ken Miles fu un epilogo molto amaro. Due mesi dopo quella corsa, il destino gli giocò uno scherzo fatale, facendogli trovare la morte a 47 anni il 17 agosto 1966 sulla pista di Riverside, mentre testava la successiva evoluzione della GT40. Carroll Shelby rimase particolarmente scosso dal decesso dell’amico, al punto da decidere di abbandonare la produzione diretta di automobili. Proseguì la sua attività legando il proprio nome a parecchie versioni speciali della Ford Mustang, oltre alla Shelby Cobra con cui cominciò l’avventura come costruttore. Si è spento nel 2012 ad 89 anni.