Una vita breve, una carriera lunga costellata di successi, una determinazione d’acciaio pari solo al suo orgoglio e al carattere estroverso che gli permisero di diventare una star mediatica in anticipo sui tempi: Graham Hill nacque 90 anni fa e fu uno dei più grandi campioni nella storia dell’automobilismo.
Potremmo tranquillamente definirlo come il re con la tripla corona, dato il suo record a tutt’oggi imbattuto (Fernando Alonso, chissà): l’unico pilota nella storia dell’automobilismo ad aver vinto il campionato del mondo di Formula 1, la 500 miglia di Indianapolis e la 24 ore di Le Mans. C’è anche una “versione ridotta” di questa corona, limitata al Gran Premio di Monaco invece dell’intero campionato; Hill è l’unico anche in questa interpretazione. Ripercorriamo brevemente la sua vicenda.
GRAHAM HILL – GLI INIZI
Graham Hill (qui la scheda su Wikipedia) nacque ad Hampstead, un sobborgo di Londra, il 15 febbraio 1929. Suo padre era un agente di borsa ma la grande depressione e la guerra non permisero al giovane rampollo di condurre una giovinezza agiata, tutt’altro. Graham frequentò un istituto tecnico e a 16 anni cominciò a lavorare come apprendista meccanico.
Comprò presto una moto, sulla quale però ebbe un grave incidente stradale: tamponò un’auto, una sera con la nebbia; questa condizione atmosferica avrebbe segnato anche la conclusione della sua vita diversi anni più tardi. In quell’occasione il ragazzo rimediò un infortunio permanente ad una coscia che lo lasciò con la gamba sinistra più corta dell’altra. Dopo il servizio militare in Marina, Graham si appassionò al canottaggio, praticando questo sport nel London Rowing Club; questa passione gli rimase per sempre nel cuore, al punto da portare sul proprio casco di gara lo stemma del club.
Fu quasi per caso che Graham Hill si avvicinò all’automobilismo. Era il 1953, egli lesse un annuncio pubblicitario di un club che offriva per pochi scellini giri in pista a Brands Hatch su una Cooper di Formula 3. Hill quasi non sapeva guidare, non aveva nemmeno la patente; ma quella prova sulla Cooper lo folgorò definitivamente: sarebbe diventato un pilota da corsa.
C’erano però degli ostacoli non da poco: intanto la sua scarsa formazione alla guida di un’auto; poi la mancanza di adeguate risorse economiche. Risolse il primo problema acquistando un catorcio, una Morris del 1934 sulla quale si esercitò e imparò a guidare da solo fino a prendere la patente. Sempre pronto alle battute, Hill una volta famoso ricordò quell’auto che gli fu così utile: “Era un vero rottame; ogni pilota dovrebbe possederne una, perché insegna delicatezza, sicurezza di sé e anticipazione; soprattutto quest’ultima, credo”.
Hill decise che l’unico modo in cui potersi creare le opportunità per correre era lavorare nell’ambiente, in qualsiasi forma. Riuscì a farsi assumere come meccanico in una squadra corse, dove convinse il capo a farlo anche salire sporadicamene sulle auto. Durante una di queste corse, Graham incontrò Colin Chapman, il fondatore della Lotus.
A quell’epoca l’azienda stava ancora sviluppando le sue vetture da competizione. La sua parlantina convinse Chapman ad assumerlo come meccanico part-time, impiego che presto sarebbe diventato a tempo pieno. Anche qui ogni tanto gli veniva data l’opportunità di correre. Nel frattempo Graham sposò Bette Shubrook nel 1955; poiché lui aveva usato tutto il proprio denaro per l’attività nelle corse, fu lei a sborsare i soldi per il matrimonio.
Da quella unione nacquero Brigitte, Samantha e Damon, il quale a sua volta è stato pilota, vincendo il titolo mondiale in Formula 1 nel 1996. Bette quindi si trovò ad essere l’unica moglie e madre di un campione del mondo in F1, un curioso record ancora imbattuto. Bette Hill nacque il 12 giugno 1926 ed è morta l’8 dicembre 2017.
CAMPIONE DEL MONDO – I DUELLI CON CLARK E STEWART
Nel 1958 la Lotus era pronta per entrare in Formula 1 e affidò un sedile a Graham Hill, il quale esordì nel Gran Premio di Monaco, ritirandosi per un guasto. Le prime Lotus non erano competitive, così l’ambiziosissimo Graham nel 1960 passò alla BRM. Ma nemmeno questa vettura era un fulmine di guerra, in quegli anni. Però Hill lavorò pazientemente e duramente, guidando gli sforzi della squadra col suo contagioso ottimismo.
Dopo due anni difficili, la BRM nel 1962 aveva fatto progredire la macchina fino a renderla vincente, equipaggiandola con un motore V8 1.5 prodotto in proprio. Graham Hill ingaggiò uno stupendo duello con Jim Clark, il quale guidava la rivoluzionaria Lotus 25 con telaio in monoscocca. Clark vinse tre gare ma collezionò troppi ritiri. Hill invece poteva contare su una monoposto più affidabile, nonché velocissima.
Quattro vittorie e diversi piazzamenti gli permisero di laurearsi campione del mondo.
Il 1963 fu una stagione totalmente Made in Britain, poiché tutte le corse furono vinte da piloti del Regno Unito; se non fosse stato per il successo della Ferrari (con John Surtees) ad Hockenheim, sarebbero state britanniche anche tutte le vetture vincitrici. Che poi si ricondussero a due: la Lotus motorizzata Climax e la BRM. Quello fu un anno straordinario per Jim Clark, il quale impose un dominio assoluto con 7 vittorie. Hill poté fare ben poco contro tale strapotere; riuscì comunque ad incamerare due vittorie e terminare l’annata al secondo posto in classifica, ad un distacco abissale da Clark.
Nel 1964 la storia fu molto diversa. BRM e Ferrari colmarono il divario che le distanziava dalla Lotus e la stagione fu estremamente combattuta fra Hill, Clark e Surtees. Hill vinse due gran premi, Clark tre e Surtees due. Tra ritiri e piazzamenti vari, si arrivò all’ultima corsa in Messico col titolo ancora in gioco fra tutti e tre. Hill aveva 5 punti di vantaggio su Surtees e 9 su Clark. All’epoca il vincitore prendeva 9 punti. Clark partì dalla pole position, seguito dalla Brabham di Dan Gurney, poi Hill e l’altro ferrarista Lorenzo Bandini. Il quale ad un certo punto tamponò Hill, il quale s’intraversò danneggiando lo scarico, il che gli fece perdere potenza e posizioni; sarebbe terminato undicesimo. In una situazione che gli avrebbe consegnato il titolo, Clark venne tradito dalla sua Lotus, un tubo dell’olio si ruppe ad un giro dal termine. Con Bandini secondo e Surtees terzo, il titolo sarebbe finito a Hill; così il box Ferrari segnalò disperatamente a Bandini di rallentare, permettendo a Surtees di raggiungerlo e superarlo, aggiudicandosi così il campionato per un punto. Un secondo posto amaro per Hill.
Nel 1965 Graham Hill pensava che la BRM fosse nuovamente al pari della Lotus, ma si dovette ricredere ben presto, già nella prima gara in Sudafrica, incamerata da Clark. Non fa testo il successo di Hill a Montecarlo (un GP che avrebbe vinto per ben 5 volte), perché la Lotus non c’era, si era trasferita ad Indianapolis per far vincere al suo campione anche la 500 miglia. Jim Clark fu incontenibile. Si aggiudicò le successive cinque gare consecutive, liquidando il discorso mondiale. Hill si dovette accontentare di vincere il GP degli USA a Watkins Glen. Ennesimo secondo posto in classifica.
Nel 1966 andò anche peggio. La BRM non era più competitiva, perché molto inaffidabile. La stagione cominciò relativamente male perché il 22 maggio a Monaco Hill fu beffato dal giovane compagno di squadra, lo scozzese Jackie Stewart che gli soffiò il successo nel GP “di casa”. Ma subito arrivò una consolazione enorme. Infatti il 30 maggio Graham Hill vinse la 500 miglia di Indianapolis, duellando fino al termine su una Lola-Ford con Stewart (compagno di squadra anche qui) che condusse a lungo e Clark, il quale finì secondo. Fu curiosa la decisione della giuria nell’assegnare il premio “rookie of the year”, esordiente dell’anno. Sia Hill che Stewart erano esordienti ma, nonostante l’inglese avesse vinto la corsa, venne premiato lo scozzese, beffato solo da un guasto. Stranezze americane. Invece la stagione di Formula 1 fu da dimenticare, anche per la Lotus, alle prese con il cambio di tre motori. Hill non vinse nemmeno una corsa, collezionando ben cinque ritiri. Il titolo fu vinto d’autorità da Jack Brabham al volante della monoposto da lui costruita.
Graham Hill ne aveva abbastanza della BRM, così nel 1967 tornò dal mentore Colin Chapman, per diventare compagno di squadra di Jim Clark in un team stellare. Ma le stelle furono di dolore, perché la Lotus-Ford Cosworth si rompeva in continuazione: 5 ritiri per Clark, addirittura 8 per Hill. Ma Clark riuscì in qualche modo a vincere 4 gare. Però il mondiale fu una lotta tra le due Brabham e Denny Hulme diventò campione beffando proprio Jack Brabham.
Il 1968 pareva l’annata buona per la Lotus 49, risolti i problemi meccanici. La doppietta nel gran premio d’apertura in Sudafrica con Clark davanti a Hill lasciava pochi dubbi. Ma la stagione venne funestata dal terribile incidente in Formula 2 ad Hockenheim in cui Jim Clark perse la vita, schiantatosi contro gli alberi che costeggiavano la pista, non protetta da barriere. Così Hill divenne la prima guida della Lotus e, dopo le vittorie in Spagna e a Monaco, sembrava avviato verso un comodo titolo mondiale.
Invece non fu per niente comodo. La sua Lotus era ancora piuttosto fragile e si ritirò per quattro volte. Ne approfittò Jackie Stewart, sulla Matra-Ford, per rivelarsi come talento emergente della F1 e serio contendente per il campionato. Graham Hill riuscì ad agguantare il suo secondo titolo mondiale solo all’ultima gara in Messico, vincendo la corsa.
L’INCIDENTE IN AMERICA, IL DECLINO E LA MORTE
Nel 1969 la Lotus fu in pieno marasma tecnico. Le sperimentazioni aerodinamiche resero ancora più fragile una monoposto che già aveva una reputazione piuttosto dubbia in quanto a solidità. Hill riuscì a vincere solo a Montecarlo, il suo cortile di casa. Ma la stagione fu dominata dalla Matra-Ford di Jackie Stewart che conquistò alla grande il primo dei suoi tre titoli mondiali.
Nella penultima gara stagionale, il GP degli USA a Watkins Glen, Hill subì l’incidente che praticamente gli spezzò la carriera. All’88° giro la sua Lotus scivolò su una macchia d’olio, girandosi e facendo spegnere il motore. Il pilota scese dalla macchina e la spinse (altri tempi), riuscendo a rimetterla in moto. Ma dopo essere rientrato nell’abitacolo Hill ripartì senza riuscire a riallacciare le cinture, un’operazione che anche a quell’epoca il solo pilota seduto non era in grado di fare. Tuttavia nella breve uscita di pista una gomma si era forata.
Dopo aver segnalato al box di prepararsi alla sostituzione (a gesti sul rettilineo d’arrivo, non esistevano le radio), Hill proseguì ma in quel giro la gomma danneggiata esplose, mandando la vettura fuori pista; il pilota fu sbalzato dall’abitacolo e si procurò numerose fratture ad entrambe le gambe. Il suo humour tipicamente spaccone però non era intaccato: una volta in ospedale, i compagni di squadra gli chiesero se voleva inviare un messaggio alla moglie; lui rispose “Ditele solo che non potrò ballare per due settimane”.
Graham Hill recuperò fisicamente ma forse non nello spirito, perché non riuscì più a vincere nemmeno una corsa nel mondiale di F1. Nel 1970 gareggiò su una Lotus ma per il team di Rob Walker: Chapman aveva intuito che Graham non era più quello di una volta e lo aveva scaricato. Nel 1971 Hill passò alla Brabham-Ford (Jack si era già ritirato) ma collezionò numerosi ritiri e un quinto posto come miglior risultato.
Il 1972 fu un’altra annata disastrosa per Graham Hill in Formula 1, sempre sulla Brabham, mai meglio di quinto. Ma quell’annata fu salvata dalla conquista dell’alloro che ancora gli mancava: la 24 ore di Le Mans. Ci aveva provato per nove volte, su Lotus, Porsche, Ferrari, Aston Martin, Rover, perfino sulla dominante Ford GT40 del 1966; ma non andò mai oltre il secondo posto. Al decimo tentativo ci riuscì: a bordo di una Matra-Simca, alternando il volante con Henri Pescarolo.
A quel punto, a 43 anni di età, un pilota meno testardo e più saggio di lui si sarebbe ritirato in bellezza. Invece Graham Hill no, andò avanti in Formula 1 per puro orgoglio. Nel 1973 fondò la propria scuderia, la Embassy Racing, su una monoposto Shadow-Ford; non ottenne nemmeno un punto. Nel 1974 ne ottenne uno. Nel 1975 si classificò 10° e 12° nelle prime due gare; non si qualificò nella terza e non partecipò alla quarta. Al quinto gran premio, a Monaco, la goccia che fece traboccare il vaso: non riuscì a qualificarsi per il gran premio di cui lui era stato il re assoluto. A questo punto decise di ritirarsi per sempre dalla carriera di pilota. Il suo ruolino in Formula 1 si concluse con 176 gran premi disputati e la vittoria di due titoli mondiali e 14 gran premi, oltre a 13 pole positions. Poi i successi ad Indianapolis e Le Mans che gli valsero la nota tripla corona.
Graham Hill voleva comunque proseguire nell’attività di team manager e cercò di mettere tutta la propria esperienza al servizio del giovane pilota Tony Brise. Ma tutti i sogni, i progetti e le persone della Embassy Racing si schiantarono al suolo la sera del 29 novembre 1975. L’aereo Piper Aztec pilotato dallo stesso Hill, decollato da Marsiglia nel pomeriggio (il team era di ritorno da alcuni test al Paul Ricard), nel tentativo di atterraggio in una fitta nebbia sulla pista del piccolo aeroporto di Londra Elstree, urtò diversi alberi e impattò violentemente sul terreno, prendendo immediatamente fuoco. Morirono tutte le sei persone a bordo: Graham Hill, Tony Brise, il manager Ray Brimble, i meccanici Tony Alcock e Terry Richards e il progettista Andy Smallman. Le indagini non hanno mai stabilito con certezza le cause dell’incidente, ma indicarono come probabile un errore del pilota.
Un epilogo molto amaro, quello di Graham Hill. Ma che a distanza di parecchi anni non intacca il ricordo delle grandi doti di un pilota fra i più grandi e amati di tutti i tempi.
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