Esiste una certa analogia tra Peugeot e Opel, al di là della comune appartenenza odierna al Gruppo PSA. Infatti entrambe sono nate in pieno XIX secolo come aziende attive in settori economici completamente estranei all’automobile, la quale del resto ancora non esisteva. Le quattro ruote a motore sono arrivate molto più tardi. Peugeot partì nel 1810 impiantando una fonderia, costruì auto dal 1890. La Opel venne fondata il 21 gennaio 1862 per produrre macchine per cucire. L’ingresso in campo automobilistico viene convenzionalmente fissato al 21 gennaio 1899 con l’acquisizione di un’altra azienda. Partiamo quindi da questa data, 120 anni fa, per ripercorrere la storia di questa importante casa automobilistica.
OPEL COMPIE 120 ANNI – LE ORIGINI
Naturalmente è necessario un cenno alle origini, ciò che avvenne prima dell’automobile. Adam Opel aprì, come detto, la propria fabbrica di macchine per cucire nel 1862 a Rüsselsheim, una cittadina della Germania lungo il fiume Meno, alla periferia sud-ovest di Francoforte.
Questa località ha sempre ospitato la principale fabbrica della Opel, dove ancora oggi si trova il quartier generale dell’azienda. Nel 1868 Adam Opel sposò Sophie Scheller. Da questa unione nacquero cinque figli dal 1869 al 1880; in ordine di anzianità: Carl, Wilhelm, Heinrich, Friedrich e Ludwig.
L’azienda si fece presto largo sul mercato e acquisì una certa importanza nazionale. Nel 1886 cominciò la diversificazione, Adam entrò nel fiorente business delle biciclette. Tale attività ottenne un successo di gran lunga maggiore, infatti negli anni Venti del XX secolo la Opel sarebbe diventata il maggior produttore mondiale di questi veicoli senza motore. Il primogenito Carl venne subito messo a capo della divisione biciclette, le quali sfoggiarono fin dall’inizio uno stemma che si rifaceva alla saetta, Blitz in tedesco: un ovale che raffigurava un ciclista sopra al quale volava la Vittoria alata (cioè Nike, la dea della mitologia greca).
In alto la scritta “Victoria Blitz”, cioè la saetta della vittoria, perché le biciclette Opel permettevano di viaggiare veloci come fulmini. Nella parte sottostante, le scritte Adam Opel e Rüsselsheim. Nel corso dei decenni, attraverso varie evoluzioni grafiche, il simbolo del fulmine ha sempre accompagnato le automobili Opel.
Nello stesso anno in cui la Opel avviò la produzione di bici, Karl Benz e Gottlieb Daimler produssero indipendentemente le prime automobili con motore a scoppio. Adam accolse queste novità in modo ostile; quando i figli gli suggerirono la possibilità di espandersi in questo campo, egli rifiutò nettamente. Gli viene attribuita la frase “Questi oggetti saranno solo giocattoli per ricchi che amano buttare i loro soldi”. Non se ne fece nulla per qualche anno. Senonché nel 1895 Adam Opel si ammalò gravemente e morì. Il comando dell’azienda passò alla moglie Sophie, assistita dai figli.
LE AUTOMOBILI OPEL – L’INIZIO DELL’AVVENTURA
I cinque Opel junior da diversi mesi stavano sezionando una Benz per carpirne i segreti e migliorarla. Dopo la scomparsa del fondatore, decisero di avviare una nuova avventura nel campo dell’automobile. Serviva un “partner tecnico”, come si direbbe oggi. Dunque nel 1898 acquisirono la Lutzmann, concorrente della Benz. Quindi nel 1899 nacque la prima automobile Opel. Il nome non brillava per fantasia: Patent-Motorwagen, proprio come la prima Benz; del resto queste due parole significano solamente “carrozza a motore brevettata”. E proprio di una carrozza a motore si trattava, siamo ancora in epoca pionieristica.
Il motore di 1.5 litri erogava la spropositata potenza di 3,5 cavalli. Ma la collaborazione con Lutzmann non durò a lungo, le sue auto si rompevano troppo spesso, anche per lo standard dell’epoca; quindi nel 1901 la Opel liquidò il partner. Però la strategia di affiancarsi ad un altro costruttore restava valida.
Dopo alcune trattative senza esito con la giovane ma già in piena ascesa Renault, la Opel si accordò con la Darracq, quella che nel 1910 sarebbe diventata A.L.F.A. e poi Alfa Romeo. La prima Opel derivata dalla Darracq fu la 9 PS, nel 1901; cambiava solo la carrozzeria, peraltro affidata ad esterni. Arrivò invece nel 1903 la prima auto con carrozzeria progettata e costruita direttamente dalla Opel, la 10/12 PS. Questa sigla è il corrispettivo tedesco di cavalli vapore (Pferde Stärke).
Seguirono in rapida successione altri modelli, accompagnati da ottimi risultati commerciali. Dal 1905 cominciò anche l’espansione all’estero. Nel 1906 venne raggiunto il traguardo delle 1.000 automobili prodotte. Dal 1907 la Opel fu in grado di camminare da sola anche formalmente, poiché pose fine all’accordo con la Darracq e costruì le proprie vetture completamente a Rüsselsheim. La gamma era universale: dalla relativamente economica 4/8 PS soprannominata Doktorwagen (perché era preferita dai medici in virtù della sua notevole affidabilità), alla superlussuosa 33/60 PS con motore da 8.6 litri. Parallelamente venne mantenuta un’importante attività nelle corse, già allora un importante strumento pubblicitario. Ma anche una palestra per l’innovazione tecnica: ad esempio nel 1913 la Opel introdusse per prima nei gran premi un motore a quattro valvole per cilindro.
DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE ALL’AVVENTO DELLA GENERAL MOTORS
La Opel produceva fin dall’inizio anche veicoli commerciali, autocarri di varia portata. Fu proprio la valida consistenza nel ramo degli autocarri ad assicurare all’azienda pesanti commesse dall’esercito per autocarri da utilizzare nel primo conflitto mondiale. Ma prima facciamo un passo indietro per sottolineare un altro momento decisivo nella storia di questa azienda.
Nel 1911 un grosso incendio distrusse buona parte della fabbrica. Nella ricostruzione venne deciso di abbandonare la produzione delle macchine per cucire. Adam probabilmente si rivoltò nella tomba, ma ormai le automobili erano il business del presente e del futuro. Al punto che nel 1914 la Opel era diventata il maggior costruttore automobilistico della Germania.
Nel 1916 lo Stato impose alla Opel di produrre una quota di motori aeronautici per conto della Argus, titolare della gigantesca commessa militare. Questa esperienza servì comunque alla casa di Rüsselsheim per acquisire utili competenze tecniche; in particolare cominciò a sviluppare motori a 6 cilindri, accanto a quelli ordinari a 4.
Dopo la disfatta bellica della Germania, le potenze vincitrici imposero nel trattato di Versailles il divieto di produrre veicoli a motore, almeno inizialmente. Ciò che salvò la Opel fu la sua vasta attività nelle biciclette, che tornarono momentaneamente al centro della vita aziendale. Presto le ottuse potenze anglo-francesi diedero il permesso alla Germania di tornare a produrre automobili. Ma una notevole umiliazione era già stata inflitta, un danno enorme che avrebbe seminato il germe del nazismo.
All’umiliazione morale della Germania si accompagnò quella monetaria, altrettanto pesante; l’inflazione colossale costringeva le massaie a fare la spesa con grandi borse piene di marchi che non valevano nulla. Il culmine fu raggiunto nel 1923, ogni mese l’inflazione decuplicava; a dicembre un dollaro americano veniva scambiato per 4.210 miliardi di marchi e un chilo di pane costava 400 miliardi. Questa crisi travolse numerose aziende, fra cui proprio la Opel, che nel settembre di quell’anno chiuse temporaneamente i battenti, proprio nel momento in cui superava la soglia di 30mila vetture prodotte in totale.
Tuttavia i fratelli Opel (la nuova generazione: Wilhelm, Fritz e Georg, accanto allo zio Friederich) non gettarono completamente la spugna. Cominciarono a studiare i metodi americani per la produzione industriale. Prepararono il loro ritorno impiantando nella fabbrica la prima catena di montaggio tedesca. L’idea era di costruire l’equivalente di una Ford Modello T, una vettura economica.
La Opel riaprì nella primavera del 1924. La sua T fu la 4/12 PS e riuscì nell’intento; nonostante fosse stata soprannominata “ranocchio” (Laubfrosch, raganella per la precisione), le sue vendite furono fulminanti, come il simbolo della casa: da 724 a fine 1923 ad oltre 30.000 nel 1926, il che portò a 60.000 il numero totale di Opel prodotte dal 1899. In quell’anno l’azienda divenne anche il maggior produttore mondiale di biciclette, oltre un milione di pezzi in totale. Nel 1928 tornò ad essere il più importante costruttore tedesco di automobili, oltre 35.000 solo in quell’anno. La Opel impiegava ormai oltre settemila dipendenti. Un anno importante su tutti i fronti, perché l’azienda venne trasformata in società per azioni. Uscì anche la prima auto con motore ad 8 cilindri, la 24/110 PS Regent, 6 litri di volume.
Era arrivato il momento di chiudere in bellezza. Il 17 marzo 1929 i fratelli Opel (il cognome era anzi diventato da qualche anno von Opel) vendettero la maggior parte delle azioni alla General Motors. Non fu certo una svendita, né una resa. Oltre a strappare un prezzo enorme per l’epoca (33,3 milioni di dollari), la famiglia Opel ottenne l’impegno da parte di GM di non commercializzare mai in Germania modelli degli altri marchi, da Chevrolet in poi, e di lasciare ampia autonomia decisionale. Quindi la Opel diventò a tutti gli effetti la vera rappresentante della General Motors al di fuori degli Stati Uniti. Naturalmente ci rimisero gli operai, perché la prima cosa che fa chi compra è “ristrutturare”, cioè licenziare. Restarono a casa 1.500 persone. Quando poi ad ottobre crollò la Borsa di New York, i dirigenti tedeschi della Opel non ebbero più alcuna possibilità concreta d’intervenire in favore dei lavoratori.
DAGLI ANNI TRENTA ALLA DISTRUZIONE BELLICA
In piena depressione economica, serviva urgentemente una vettura a basso prezzo per sostituire la ranocchia, ormai vetusta. Nel 1931 uscì dunque la Opel 1.2 che ne ereditava il motore, rivisto per erogare 22 cavalli.
Proprio l’esigenza di contenere i costi fece decidere per un design decisamente conservativo, da anni ’20, mentre le auto innovative puntavano molto su carrozzerie aerodinamiche. La Opel ebbe ragione ancora una volta, perché nei quattro anni di produzione la 1.2 superò i centomila esemplari. Fu la prima vera “auto del popolo” tedesca. Ed ebbe un’indiretta importanza politica: infatti Adolf Hitler, salito al potere nel 1933, mal sopportava l’idea che un tale successo arridesse ad un’auto appartenente ad un’azienda americana. Da qui la sua decisione di promuovere una Volkswagen (auto del popolo, appunto) tutta tedesca.
Il 1935 vide anche il lancio della Olympia, la prima Opel a scocca portante. Fu un altro grande successo. Alla fine del 1936 entrò sul mercato un modello che avrebbe avuto una vita lunghissima, la Kadett. Nello stesso momento, la Opel superò il traguardo delle 500mila automobili prodotte dalla nascita. Nel 1937 il logo aziendale assunse una forma molto simile a quella attuale, col fulmine in orizzontale che attraversa un cerchio (originariamente era un dirigibile Zeppelin). In quell’anno venne messa la parola fine ad un altro caposaldo dell’azienda: infatti la divisione biciclette fu venduta alla NSU.
Venne anche profondamente rinnovata la gamma di autocarri, tutti ora sotto il nome di Opel Blitz. La produzione di mezzi pesanti, parallelamente alla ripresa industriale della Germania, crebbe al punto da rendere necessaria una seconda fabbrica, a Brandeburgo, vicino a Berlino. Alla vigilia della guerra, la Opel era diventata un gigante multinazionale.
Nel 1940 il regime nazista interruppe la produzione di veicoli civili e le industrie tornarono a sfornare autocarri per il trasporto di truppe e armamenti, mezzi blindati, carri armati e aerei da combattimento. La Opel fece in tempo a sfornare la milionesima automobile quell’anno, una lussuosa Kapitän, prima della conversione forzata alla produzione bellica. Durante il conflitto le due fabbriche vennero bombardate.
Quella di Brandeburgo (che cadeva nella zona di Berlino occupata dall’Armata rossa) fu abbandonata e i macchinari vennero requisiti dalle truppe sovietiche. Rüsselsheim invece si trovava nella zona controllata dagli USA; la fabbrica fu successivamente ricostruita ma i russi portarono via anche da qui molto materiale a titolo di riparazione, compresi i progetti e gli impianti della Kadett, la quale fu poi prodotta in URSS, identica, sotto il nome di Moskvitch 400. Nel 1946 la Opel ricominciò a produrre autocarri, mentre per il ritorno delle automobili si dovette attendere il 1948. Inizialmente la gamma fu composta solo da versioni rinnovate della lussuosa Kapitän e della relativamente accessibile Olympia.
ANNI ’50 E ’60 – L’ESPANSIONE – LA KADETT
Nel 1946 la Volkswagen riuscì a vedere la luce e rapidamente il suo Maggiolino s’impose nella neonata Germania Ovest, nonché nel resto del mondo. Ma la Opel gli fu subito dietro con la Olympia, mentre la Kapitän era la regina del mercato tedesco per le auto a sei cilindri. Nel 1951 venne inaugurata la pista di collaudo privata, di fronte alla fabbrica.
Nel 1952 la Opel aveva recuperato la forza dell’anteguerra: contava oltre 20mila dipendenti e produceva 100mila auto all’anno. Lo stile delle vetture si modificò profondamente, l’influenza americana si faceva sentire, le berline col fulmine diventarono lunghe e con le pinne. L’espansione fu continua e sostenuta, nel 1956 un esemplare della Kapitän ebbe l’onore di far scattare il contatore dei due milioni di Opel prodotte in totale.
Se il Maggiolino dominava tra le utilitarie, le vetture Opel controllavano la maggior parte del mercato tedesco rimanente, in particolare sulle medie e grandi dimensioni, fermandosi un attimo prima del settore di lusso, dove invece era la Mercedes-Benz a farla da padrona. Un modello di grande successo di quel periodo fu la Opel Rekord, una berlina di fascia medio-alta, venduta in oltre 755.000 esemplari.
Nel 1962 (centenario dell’azienda, considerando l’epoca delle macchine per cucire) venne avviata la produzione della nuova Opel Kadett nella fabbrica di Bochum, costruita proprio per tale compito. La Kadett diventò la bandiera della Opel, un modello di enorme successo. Venne prodotta in cinque generazioni fino al 1991, superando 11 milioni di esemplari. Grande rivale del Maggiolino prima e della Golf poi, fu la vera alternativa alle Volkswagen.
Ottenne anche importanti risultati sportivi, in particolare nei rally con la versione GT/E, spesso pilotata dal mitico Walter Röhrl.
La decade dei Sessanta fu altamente positiva per la Opel, che diventò il marchio più remunerativo di tutta la General Motors. La casa si lanciò anche in un attacco deciso alla Mercedes, attraverso le grandi berline di lusso Kapitän, Admiral and Diplomat (motori a sei e otto cilindri) le quali ottennero discreti risultati di vendita. Da ricordare anche la coupé Opel GT, lanciata nel 1968 con l’obiettivo di contrastare le sportive italiane e inglesi.
LE INNOVAZIONI DEGLI ANNI ’70 E ’80
Nel 1971 la Opel aveva sfondato la soglia dei 10 milioni di vetture prodotte nella propria storia. La sua ampia varietà di modelli le permise di diventare nel 1972 il primo costruttore tedesco, sfruttando la principale debolezza della Volkswagen di quel periodo, cioè l’avere un solo vero modello sul mercato, per quanto straordinario.
Opel sapeva stare al passo con i tempi anche in fatto d’innovazioni: nel 1972 avviò la produzione della Commodore GS/E ad iniezione elettronica; nel 1972 una GT modificata con un motore diesel stabilì due record mondiali e decine di record internazionali. Nel 1973, al lancio della Kadett C (le generazioni dei modelli Opel sono indicate comunemente, ma non formalmente, da lettere dell’alfabeto, ancora oggi), tutte le Opel montavano di serie le cinture di sicurezza.
Vennero intensificati anche gli sforzi per competere sul mercato delle sportive: già nel 1970 uscì la Opel Manta, una coupé a quattro posti che affiancava la GT e dalla quale derivò anche la berlina Ascona. Più avanti, nel 1977, arrivò anche la Monza, coupé di fascia alta (e grandi dimensioni, era lunga 4,7 metri) derivata dalla berlina Senator.
Ma in mezzo a tutti questi lati positivi piombò la crisi petrolifera del 1973 che mise in ginocchio l’intera economia occidentale. Nel 1974 la Opel licenziò il 20% dei lavoratori, tuttavia il mondo si riprese presto e nel 1975 ricominciarono le assunzioni, tornando nel 1975 al numero massimo di oltre 58mila dipendenti.
Nel 1979 la Opel si convertì alla trazione anteriore nei modelli di fascia economica, parecchio in ritardo rispetto ai suoi principali concorrenti. La prima vettura ad adottarla fu la Kadett D.
Gli anni ’80 si aprirono, industrialmente parlando, nel 1979 con il secondo shock petrolifero innescato dal rovesciamento dello scià in Iran. Bilanci a picco e licenziamenti in massa scossero nuovamente l’economia occidentale. Alla Opel persero il lavoro oltre 7.500 persone. Le perdite cominciarono a diventare una costante per la casa di Rüsselsheim. Ma i modelli validi non le mancavano. Nel 1982 Opel osò aggredire il settore delle utilitarie classiche, il segmento B, dominio storico di Fiat, Ford e Renault. Uscì la piccola Corsa (per la quale venne appositamente fatta costruire una fabbrica in Spagna, a Saragozza) e fu un successo immediato. Ad oggi questa vetturetta ha ampiamente superato i 12 milioni di esemplari. La Corsa nel 1983 salvò i bilanci della Opel e fece superare alla casa due significativi traguardi: il milione di unità prodotte in un anno e i 20 milioni nella storia.
Un altro importante risultato tecnologico per la Opel fu l’introduzione (prima casa in Germania) del catalizzatore; era il 1985, dal 1989 fu esteso a tutta la gamma. Ci fu un generale rinnovamento dei modelli: l’ammiraglia Omega sostituì Rekord e Commodore, la Vectra rimpiazzò la Ascona, la Calibra mandò in pensione la Manta. La Opel Calibra ottenne un eccellente risultato commerciale per una coupé, oltre 238mila unità fino al 1997, anche grazie ai risultati sportivi nelle competizioni turismo internazionali.
DAL XX AL XXI SECOLO – IL DECLINO
Ma se i modelli continuavano ad essere apprezzati dal pubblico, i bilanci della Opel soffrivano in modo crescente. I problemi diventarono gravi negli anni ’90, anche e soprattutto a causa di parecchi errori manageriali dei vertici GM, i quali cominciarono a trascurare quella che per decenni era stata la loro gallina dalle uova d’oro. Ciò si riflettè anche sulla qualità delle vetture: emersero numerosi problemi di affidabilità e nelle finiture che allontanarono progressivamente il pubblico. Alla fine del XX secolo i modelli Opel persero molto dell’appeal che li aveva caratterizzati per così tanti anni. Nemmeno la breve alleanza tra General Motors e Fiat portò benefici sostanziali.
La Opel veniva sorretta ormai prevalentemente dalle vendite sempre sostenute della Corsa e dall’arrivo dell’Astra che nel 1991 sostituì l’indimenticabile Kadett. Non cessarono le innovazioni: nel 1996 la casa fu la prima al mondo a combinare in un motore diesel di larga diffusione turbocompressore, iniezione diretta e quattro valvole per cilindro. Nel 1997 uscì il primo motore europeo a tre cilindri, il 1.0 della Corsa. Nel 1999, anno del centenario come casa automobilistica, una Omega siglò il raggiungimento dei 50 milioni di veicoli prodotti. E ancora in questo decennio da Rüsselsheim arrivarono i maggiori profitti per la General Motors.
Tuttavia l’equilibrio finanziario era precario. Infatti dopo il 1999 la Opel non riuscì più a conseguire utili. Nel tentativo di colmare le lacune su qualità e design, nel 2007 uscì la nuova ammiraglia, la Insignia; sembrò essere un passo nella giusta direzione, dal punto di vista delle vendite. Ma la General Motors si trovava in grossi guai. Nella tempesta del fallimento dopo la crisi del 2008 e l’intervento del governo americano, ci fu un tentativo di vendere la Opel all’austriaca Magna-Steyr, tuttavia l’accordo fallì. Salvata dai soldi dei contribuenti americani, la GM nel 2010 tornò ad investire, annunciando un piano di 11 miliardi in 5 anni per la Opel. Nel 2012 venne siglata un’alleanza col Gruppo PSA per creare piattaforme comuni ed economie di scala. Addirittura la GM, acquisendo il 7% del capitale, si trovava ad essere il secondo azionista di PSA dopo la famiglia Peugeot.
Però anche questo tentativo non portò risultati, perlomeno non lo fece nel brevissimo tempo che gli americani gli diedero: infatti già nel 2013 si ritirarono. Per la Opel avviarono un’aggressiva politica sui prezzi, ma anche questa fu un buco nell’acqua. Alla fine del 2014 venne chiusa, dopo 52 anni, la fabbrica di Bochum.
OGGI – IL GRUPPO PSA – LA RINASCITA
Oltre 20 miliardi di dollari di perdite dal 1999: General Motors era riuscita nell’impresa di distruggere la Opel, insieme a se stessa. Non c’era più sintonia tra GM e l’Europa, da qui la decisione di intraprendere una vera e propria fuga, cedendo o chiudendo tutte le attività nel continente. Si è fatto avanti il Gruppo PSA. Dopo complesse trattative, il 6 marzo 2017 è stato annunciato l’accordo: entrambi con sorriso a 32 denti ma per motivi opposti, il boss di PSA, Carlos Tavares, e quello della GM, Mary Barra, hanno rivelato al mondo i termini della transazione. PSA ha comprato Opel (e il parallelo marchio britannico Vauxhall) per 2,2 miliardi di euro, tra contanti e passaggi finanziari.
La cura pianificata da Tavares è di quelle decisive: accordi con le organizzazioni sindacali nelle varie nazioni che ospitano i siti produttivi, riduzione della forza lavoro prevalentemente tramite prepensionamenti, poi gli interventi di razionalizzazione che fanno la differenza: riduzione delle piattaforme produttive e dei motori, profonda condivisione con le risorse di PSA, estrema attenzione ai costi.
Accanto ad un importante rinnovamento dei prodotti: abbiamo già visto l’ingresso di due nuovi SUV, Grandland X e Crossland X, ad accompagnare la Mokka X. I primi risultati si sono già visti: nel primo semestre 2018 la Opel è tornata a registrare un utile di bilancio dopo ben 19 anni. Per il futuro si attende l’importante innesto dell’elettrificazione. Nel 2019 è attesa la nuova generazione della Corsa, la quale includerà una versione completamente elettrica, mentre Grandland X amplierà la gamma con una motorizzazione ibrida plug-in. Il fulmine ha ritrovato l’energia. (sito ufficiale)
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