Dino Buzzati, nato a Belluno il 16 ottobre 1906, è stato un giornalista, scrittore e drammaturgo italiano di fama internazionale ma anche autore di bozzetti e schizzi.
La sua carriera inizia proprio come giornalista, nel 1928, quando scrive per il quotidiano milanese Il Corriere della Sera, di cui nel corso del tempo sarà prima praticante, poi redattore e infine inviato.
Dino Buzzati: la carriera
La sua carriera di scrittore e drammaturgo inizia invece ufficialmente nel 1940, quando viene pubblicata quella che a tutti gli effetti è nota come sua opera prima, Il deserto dei Tartari. In quello stesso anno Dino Buzzati si imbarca anche come corrispondente di guerra per il Secondo conflitto mondiale.
Nel 1958 Dino Buzzati vince anche il Premio Strega grazie all’opera Sessanta Racconti ma tra le sue opere più note figurano anche La famosa invasione degli orsi in Sicilia, Il grande ritratto e Un amore. Muore il 28 gennaio 1972 a Milano.
Dino Buzzati frasi celebri: le 14 frasi più belle
- “A una certa età tutti voi, uomini, cambiate. Non rimane più niente di quello che eravate da piccoli. Diventate irriconoscibili”.
- “Fate bene a insuperbirvi, o giovanotti. Noi siamo ormai vecchi, da buttar via. Il mondo è già vostro e voi intendete disporne a piacimento, avete tutte le ragioni. Dai nostri funerali rincaserete con un appetito formidabile, pieni di vitalità e di progetti. Alla sera, coricandovi, sentirete un doloretto a destra dello stomaco, per ora una cosa da nulla”.
- “Il tempo correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro”.
- “Ogni vero dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro. E non basta una eternità per cancellarlo”.
- “Non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai”.
- “La consolazione, la felicità era tale che il modo di raggiungerla non aveva più alcuna importanza”.
- “Nessuno li scorge, gli arrampicatori, quando sono sospesi sopra gli abissi, nello smisurato silenzio, impegnati in una lotta temeraria; quando, sorpresi dalla notte, si accovacciano intirizziti su un esile terrazzino, per aspettare che il sole ritorni e la lotta possa ricominciare”.
- Ciascuno di noi forse porta scritta in una recondita particella del corpo, la propria finale condanna. Ma perché andare determinatamente a disseppellirla?
- Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare.
- “E di innumerevoli afflizioni è generoso il mondo, ma i morsi dell’invidia sono tra le ferite più sanguinose, profonde, difficili, da rimarginare e complessivamente degne di pietà”.
- “Guardava dinnanzi a sé i parchi, i campi, i boschi, le montagne, le misteriose montagne. Vendetta, che inutile cosa”.
- “Le storie che si scriveranno, i quadri che dipingeranno, le musiche che si comporranno, le stolte pazze e incomprensibili cose che tu dici, saranno pur sempre la punta massima dell’uomo, la sua autentica bandiera […]quelle idiozie che tu dici saranno ancora la cosa che più ci distingue dalle bestie, non importa se supremamente inutili, forse anzi proprio per questo. Più ancora dell’atomica, dello sputnik, dei razzi intersiderali. E il giorno in cui quelle idiozie non si faranno più, gli uomini saranno diventati dei nudi miserabili vermi come ai tempi delle caverne”.
- Perché le differenze continuano a esistere finché noi viviamo parliamo vestiamo, ciascuno recitando la sua bella commedia, poi basta: poi tutti uguali nell’identica positura della morte, così semplice, così confacente ai requisiti dell’eternità.
- “Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo”.
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