“C’è gusto ad umiliare, con una modesta utilitaria, vetture di classe e prezzo superiori”. Questa frase esprime in pieno l’essenza della casa Abarth e della filosofia di vita del suo fondatore: Carlo Abarth, di cui il 15 novembre 2018 ricorrono 110 anni dalla nascita. Perché lo Scorpione cominciò a pungere giovanissimo chi era più grande di lui.
CARLO ABARTH: UNA VITA INCREDIBILE
Fin da quando, ragazzino ardimentoso (nato il 15 novembre 1908 e morto il 23 ottobre 1979), si divertiva a correre in monopattino contro i vicini di casa, quasi tutti di età maggiore, quindi più forti nei muscoli e dotati di gambe più lunghe. Ma quel ragazzino più piccolo degli altri vinceva grazie al cervello: dotato di notevole inventiva, avvolse le rotelle di legno del monopattino con una cintura di cuoio per migliorare l’aderenza al suolo. Così andava più veloce.
CARLO ABARTH, LE CORSE NEL SANGUE
Quel ragazzino si chiamava Karl Abarth, nacque a Vienna il 15 novembre 1908. Il padre, Karl anch’egli, era originario di Merano, dove la famiglia gestiva un albergo; la madre Dora Taussig apparteneva alla borghesia viennese. Karl senior militò nell’esercito austriaco fino alla prima guerra mondiale. Dopo il conflitto e la dissoluzione dell’impero asburgico, decise di trasferirsi a Merano per gestire l’albergo di famiglia, acquisendo la cittadinanza italiana. Il piccolo Karl invece rimase a Vienna con la madre.
La velocità era impressa nel suo codice genetico. A 16 anni cominciò a lavorare in un’officina meccanica dove si fabbricavano telai di motociclette. Poco dopo venne notato dalla squadra corse di un’importante azienda dell’epoca, la Motor Thun, che lo impiegò nella messa a punto e nel collaudo di soluzioni tecniche. Fu così che a 20 anni disegnò il suo primo telaio.
Negli anni Venti Karl Abarth diventò pilota di moto e ottenne anche alcuni successi. Già allora aveva l’abitudine di elaborare il mezzo per aumentarne le prestazioni. Alla fine del decennio costruì anche una moto col proprio nome. Tuttavia un grave incidente nel 1930 gli causò un’invalidità permanente ad un ginocchio, costringendolo al ritiro dalle gare sulle due ruote. Passò allora alle competizioni di sidecar. Qui si mise in evidenza tramite una notevole impresa non solo promozionale. Infatti nel 1932 sfidò nientemeno che l’Orient Express, sì, il celebre treno. E lo battè sui 1.370 Km della tratta Vienna-Ostenda. Abarth aveva truccato anche il sidecar, ovviamente: per compensare la menomazione al ginocchio, creò un sistema ad asse oscillante per far inclinare la terza ruota del sidecar, ottenendo un significativo aumento della velocità in curva. Questa elaborazione ingegnosa gli permise di vincere la maggior parte delle gare di quel periodo.
Nel 1937, presagendo foschi scenari per l’Austria minacciata dalla Germania nazista, Karl Abarth si trasferì a Merano, dove corse con i colori italiani. Ma nel 1939 un secondo grave incidente a Lubiana spezzò definitivamente la sua carriera di pilota. Così, non ancora trentenne, lavorò per breve tempo nell’albergo del padre. Cercò di allontanarsi ulteriormente dalle grinfie dei nazifascisti trasferendosi a Lubiana.
Al termine della guerra Karl tornò definitivamente dal padre a Merano; chiese la cittadinanza italiana, naturalizzando anche il nome che divenne quindi Carlo Abarth. Le corse gli erano rimaste nel cuore e cercò di rientrare nell’ambiente. Era amico di Ferry Porsche, il quale gli propose di gestire in pista il progetto sportivo della Cisitalia (creata dall’industriale Piero Dusio), una squadra che annoverava tra i suoi piloti nientemeno che Tazio Nuvolari.
LA NASCITA DELLA ABARTH
L’avventura della Cisitalia si chiuse nel 1949 col fallimento della società. Abarth ricevette in qualità di pagamento arretrato le auto da corsa derivate dalla serie e alcuni ricambi. Fu questa la base della sua fortuna. Perché nel 1949 fondò a Torino insieme a Guido Scagliarini la Abarth & C. Come simbolo uno scorpione, dal segno zodiacale di Carlo; il rosso e il giallo nello scudetto sono invece i colori di Merano.
Corse ed elaborazione furono il cuore di quest’azienda fin dall’inizio. Infatti la prima vettura prodotta fu la 204 A Roadster, derivata dalla Fiat 1100; vinse subito il campionato italiano 1100 Sport e quello di Formula 2. Ma ciò che fece diventare la Abarth il simbolo che oggi conosciamo (e che ne decretò anche il successo commerciale) fu la produzione dei kit di elaborazione che aumentavano le prestazioni delle piccole vetture di serie. Partendo dalle marmitte foderate con lana di vetro, si arrivò alle celebri “cassette di trasformazione Abarth”. Tutti siamo rimasti affascinati da quelle Fiat 600 e poi 500 col cofano aperto che si davano battaglia sulle piste, oltre a farsi decisamente notare sulle strade. In breve tempo l’azienda arrivò ad occupare 375 dipendenti per una produzione di 300.000 marmite all’anno.
Negli anni ’50 si diceva “truccare la macchina”, oggi si dice “tuning”, ma era la stessa cosa. La prima “cavia” di grande successo fu la Fiat 600 che, nella versione Abarth, diventò Fiat Abarth 750. Nel 1956 ne fece carrozzare un esemplare da Bertone per dare l’assalto ai record di velocità e di durata per le rispettive cilindrate. Il 18 giugno 1956, sulla pista di Monza dove all’epoca era utilizzato anche l’anello ad alta velocità, quella vettura stabilì il record delle 24 ore, coprendo 3.743 Km ad una velocità media di 155 Km/h. Pochi giorni dopo, dal 27 al 29 giugno, arrivarono altri record, sempre sul circuito brianzolo: 5.000 e 10.000 Km, 5.000 miglia, 48 e 72 ore.
La grande pubblicità derivata da queste imprese mise il nome dell’Abarth sulla carta geografica delle competizioni. Allora nel 1957 si preparò una vettura per partecipare alla Mille Miglia. Stessa meccanica ma questa volta la carrozzeria era di Zagato, appunto la Fiat Abarth 750 Zagato (affiancata da una versione GT). Ben 20 vetture si presentarono alla celebre Freccia rossa, tutte nella classe 750; tagliarono il traguardo in 16. Il nome Abarth arrivò anche in America. Infatti il figlio dell’ex presidente degli Stati Uniti Franklyn Delano Roosevelt (portava lo stesso nome) si recò in Italia per firmare un contratto di distribuzione esclusiva delle Abarth negli USA.
IL MITO DELLO SCORPIONE
Naturalmente anche la Fiat notò subito le imprese dello Scorpione; poiché i successi di queste piccole bombe miglioravano indirettamente anche l’immagine delle vetture da cui originavano, la casa torinese avviò una collaborazione sempre più stretta. Inizialmente s’impegnò a riconoscere premi in denaro alla Abarth in base al numero di vittorie e record che avrebbe ottenuto. Un sacco di soldi, poiché in 22 anni la Abarth totalizzò 10 record del mondo, 133 record internazionali e più di 10.000 vittorie nelle competizioni.
Dopo le imprese con la 750 di derivazione 600, Abarth mise le mani sulla piccola 500 e contribuì non in trascurabile parte ad alimentarne il mito. Perché diede a quella simpatica scatoletta, pensata solo per essere economica, poco più di una versione coperta di una Lambretta o di una Vespa, quella nobiltà che solo le corse possono conferire. Inoltre, dettaglio non certo secondario, i kit Abarth per le utilitarie Fiat permettevano di avvicinarsi alle corse anche a chi non disponeva di cospicui mezzi finanziari.
Elenchiamo le vetture più famose, tutti gli appassionati le hanno viste: Fiat 595 Abarth, Fiat Abarth 595 SS, poi Fiat Abarth 695 e 695 SS, per arrivare alla Abarth 850 TC che somigliava solo vagamente alla 600 da cui derivava. Prodotta nel 1960, la Fiat forniva l’auto priva degli elementi che Abarth avrebbe inserito dopo l’elaborazione: albero motore, freni, carburatori e scarichi. Nel 1961 la 850 TC vinse la 500 Km del Nürburgring nella propria classe. La versione stradale del 1962 aveva una potenza di 55 cavalli contro i 22 della 600 di serie, su un peso ancora inferiore dei 560 Kg da cui partiva. Il top fu raggiunto dalla Abarth 1000, sempre su base 600: potenza di 115 cavalli, stratosferica per un simile corpo vettura e una cilindrata di 982 cc nel 1962. Aveva anche quattro freni a disco e cambio a cinque marce; sostituite anche le sospensioni, molle e ammortizzatori perché le balestre originali della 600 non potevano minimamente tenere quella vettura in strada.
L’ABBRACCIO CON LA FIAT
Alla fine della sua carriera Carlo Abarth volle chiudere in bellezza con un’impresa straordinaria. Nel 1965, all’età di 57 anni, decise di tornare in un’auto da corsa, una delle sue ovviamente. Era la Fiat Abarth 1000 Monoposto Record, potenza 105 cavalli. Per entrare nello strettissimo abitacolo dimagrì di ben 30 Kg, grazie ad una dieta ferrea a base di mele. Il 20 ottobre 1965 Carlo Abarth conquistò sulla pista di Monza due record della classe G, l’accelerazione sul quarto di miglio e sui 500 metri; due giorni dopo, su una monoposto da 2000 cc, ottenne gli stessi record anche per la classe E.
L’Abarth era ormai un’azienda affermata e in piena ascesa. Era il momento buono per ritirarsi. Nel 1971 Carlo Abarth cedette quindi alla Fiat la società che aveva fondato. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Vienna, dove si spense il 23 ottobre del 1979. (qui il sito ufficiale)
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