Esattamente un secolo fa, il 13 luglio 1918, nacque uno dei più grandi campioni nella storia dell’automobilismo. Alberto Ascari fu una meteora: in meno di cinque stagioni vinse una quantità notevole di corse in Formula 1, prima di trovare la morte in quel famigerato incidente a Monza nel 1955.
Alberto Ascari: una vita di corsa
Le cronache dell’epoca e le successive sono infestate da una stucchevole dose di riferimenti a cabale, superstizioni, destino, fatalità, presagi e altre sciocchezze del genere. Lo stesso Ascari era pesantemente superstizioso; tuttavia, da chi per mestiere dovrebbe essere semplice osservatore e testimone ci si aspetterebbe una certa sobrietà.
Purtroppo l’ambiente giornalistico (ieri e oggi, in Italia come altrove), è invece popolato di gente che si crede Dante o Petrarca, invece molto spesso si tratta solo di deprimenti tromboni.
Di cosa stiamo parlando? Di tutte quelle idiozie relative alle analogie tra la morte di Alberto Ascari e quella di suo padre Antonio, che riepilogheremo fra poco. Entrambi piloti di supremo valore, entrambi hanno perso la vita in corsa.
L’insopportabile retorica che cerca l’intervento soprannaturale ad ogni costo tende a dimenticare un elemento molto semplice: le corse sono pericolose.
Oggi infinitamente meno di ieri. Ma negli anni Cinquanta, quando correva Alberto, la probabilità di non terminare vivi una gara era molto elevata.
Negli anni Venti, l’epoca di Antonio, la morte era parte integrante del salire in vettura. I piloti ne erano perfettamente coscienti e accettavano il rischio. Altrimenti smettevano immediatamente.
L’aneddoto di Enzo Ferrari
Famoso è quell’aneddoto raccontato da Enzo Ferrari su Tazio Nuvolari. Alla vigilia di una Targa Florio, Ferrari comunicò al leggendario pilota mantovano, che guidava le Alfa Romeo della sua scuderia, di avergli comprato un biglietto di andata e ritorno per Palermo. Al che Nuvolari replicò: “Non sei il bravo amministratore che dici di essere. Altrimenti avresti comprato un biglietto di sola andata, perché si deve sempre mettere in conto che il ritorno di un pilota possa avvenire in una cassa di legno”. Allora cerchiamo di raccontare la vicenda sportiva di Alberto Ascari attenendoci ai fatti, i quali da soli bastano ad evidenziare le imprese di questo eccelso campione, senza necessità d’infiorettature.
Alberto nacque a Milano negli ultimi mesi della prima guerra mondiale. Da lì a poco l’attività sportiva sarebbe ripresa e suo padre Antonio sarebbe presto diventato uno dei piloti più forti in circolazione. E’ naturale che Alberto vedesse in quel genitore così famoso un modello da imitare, ancora più di quanto ogni bambino normalmente faccia. Quando Antonio Ascari morì in un incidente, il 26 luglio 1925 durante il Gran Premio di Francia a Monthléry, vicino Parigi, Alberto aveva appena compiuto sette anni.
Quando imparò a guidare
Altri, dato lo shock, avrebbero per sempre respinto l’idea stessa di automobile. Ma chi nasce nell’ambiente delle corse ne viene inevitabilmente catturato. Arrivato all’età del ginnasio, 11 anni, Alberto insiste con grande decisione per provare una moto. L’amico meccanico Goliardo Bassetti lo accontenta e gli insegnerà a guidare. La sua prima pista sarà la piazza d’Armi, nei pressi della vecchia Fiera.
La passione di Alberto per le corse è inarrestabile. Si racconta che di nascosto dalla madre abbia venduto ripetutamente il dizionario di greco per pagarsi delle prove sulla pista di Monza. Naturalmente la madre cerca di distoglierlo dall’intraprendere la stessa attività che le portò via il marito, quindi lo spedisce in collegio. Prima ad Arezzo, lui scappa, poi Macerata, fugge ancora, definitivamente. E’ deciso a diventare pilota (parallelamente alla gestione della concessionaria Fiat di famiglia), alla fine anche sua madre si rassegna.
La prima gara
E’ il 27 giugno 1936, il momento della sua prima gara, una 24 ore in Toscana, in sella ad una Sertum 500, si ritira per un incidente. Ma la seconda gara vede la prima vittoria, il successivo 4 luglio al circuito del Lario. Negli anni seguenti Alberto Ascari conquista altri risultati importanti sulle due ruote.
Ma il suo vero obiettivo è correre in auto. La prima opportunità arriva nel 1940, quando acquista da Enzo Ferrari la prima vettura da lui costruita dopo l’abbandono dell’Alfa Romeo: la Auto Avio Costruzioni 815 (l’accordo legale nella liquidazione dall’Alfa vietava a Ferrari di produrre auto col proprio nome per alcuni anni).
Ascari così partecipa alla Mille Miglia di quell’anno, il 28 aprile in edizione ridotta, però un guasto lo costringe al ritiro mentre è al comando della propria classe. Il giovane Alberto fa in tempo a partecipare all’ultimo Gran Premio di Tripoli, dove giunge nono su una Maserati 6CM, quindi alla Targa Florio, in cui si ritira. Poi la guerra prende il sopravvento. Alberto Ascari riesce ad evitare di combattere, nel frattempo si sposa, nel 1942. I suoi due figli nasceranno nel 1943 e 1946.
Sgombrate le macerie del conflitto, nel 1946 riprendono le corse. Alberto sembra aver deciso di non ricominciare, tuttavia le insistenze degli amici piloti, Luigi Villoresi su tutti, gli fanno cambiare idea. Nel 1947 partecipa al Gran Premio d’Egitto su una Cisitalia, classificandosi al secondo posto. Quindi acquista una Maserati 4 cilindri e ottiene alcuni piazzamenti secondari nelle altre gare della stagione.
La Maserati
Al che la Maserati decide di affidargli una delle vetture ufficiali. Ascari vince a Modena. Nel 1948 ottiene altri piazzamenti sempre su Maserati. Unica eccezione il Gran Premio di Francia a Reims, dove viene chiamato dall’Alfa Romeo per sostituire Achille Varzi, morto nelle prove della corsa in Svizzera, a Berna. Terzo posto per Alberto, il quale subito torna alla Maserati; vincerà a Pescara.
Nel 1949 Ascari compie un exploit vincendo il Gran Premio d’Argentina a Buenos Aires battendo l’idolo di casa Juan Manuel Fangio. Problemi economici alla Maserati fanno accettare ad Ascari e all’amico Villoresi l’ingaggio con la Ferrari. Arriva una serie impressionante di vittorie. Qui Ascari costruisce la sua fama di “front runner”: quando prende il comando nelle prime fasi della gara, fugge e nessuno riesce a prenderlo; piazza giri veloci uno dopo l’altro, imprime un ritmo elevatissimo e costante. Implacabile. Nel 1949 vince il campionato italiano. Farà il bis nel 1950, dove vincerà altre 10 gare.
L’esordio in Formula 1
Nel 1951 arriva per Ascari l’esordio nella giovane Formula 1. Non prima però di aver partecipato al Rally del Sestrière, vincendo in coppia con Villoresi su una Lancia Aurelia B20. Ma la stagione resterà memorabile per il duello stellare con Fangio, il quale guidava la quasi imbattibile Alfa Romeo. Ascari ottiene la prima vittoria nel campionato proprio in una delle corse più dure, il Gran Premio di Germania al Nürburgring, beffando sul finale l’argentino.
Il pilota milanese diventa una minaccia sempre più pericolosa per Fangio, poiché vince anche la gara successiva a Monza e si porta a pochi punti di distanza nella classifica mondiale. Solo all’ultima gara Fangio riesce ad aggiudicarsi il titolo iridato, approfittando dei ripetuti problemi di gomme di Ascari.
Nel 1952 si ritira l’Alfa, cambiano i regolamenti, le F2 diventano F1. Fangio passa alla Maserati però un grave incidente lo mette presto fuori gioco. La Ferrari diventa la macchina da battere. Ma non la batte nessuno. Alberto Ascari sale in cattedra e divora il campionato conquistando 6 vittorie, oltre ad altre 5 in Formula 2. Viene perfino spedito in America per tentare l’assalto alla 500 miglia di Indianapolis, ma un guasto lo ferma subito. Unico neo di una stagione trionfale.
La stagione 1953 è una stupenda replica. Nessuno riesce a rallentare la Ferrari 500 F2 e Ascari. Cinque vittorie e “Ciccio”, come veniva affettuosamente soprannominato, conquista il secondo titolo mondiale.
Ferrari e Ascari si separano
Nel 1954 Ferrari e Ascari si separano. Il pilota milanese accetta un’offerta principesca dalla neonata scuderia Lancia. Nel frattempo arriva la Mercedes che ingaggia Fangio e Stirling Moss e comincia a dettare legge. Gianni Lancia, proprietario dell’azienda fondata dal padre Vincenzo, ha un progetto ambizioso. La vettura di Formula 1 è progettata nientemeno che da Vittorio Jano, il padre delle Alfa che dominarono i gran premi tra gli anni Venti e Trenta. Però i problemi tecnici sono parecchi. L’auto non è pronta per l’inizio della stagione.
Quindi Ascari ottiene il permesso di correre a Reims, terza gara stagionale, su una Maserati 250F. Ma un guasto lo costringe a ritirarsi dopo un solo giro. Dopo una settimana, test Lancia a Monza, incidente alla curva dopo il sottopasso, illeso. Altra corsa su Maserati, in Gran Bretagna, nuovo guasto. Si arriva al Gran Premio d’Italia, Lancia non pervenuta, Ascari corre su una Ferrari, si rompe il motore dopo un entusiasmante duello con le due Mercedes.
Nuovi test a Monza, la Lancia D50 sembra aver risolto i problemi e Ascari realizza il record della pista. E’ la volta buona: la Lancia partecipa alla gara iridata di Barcellona, l’ultima stagionale. Ascari conquista la pole position. Parte forte, registra il giro più veloce in gara ma dopo dieci giri si rompe la frizione. L’unica soddisfazione di questa stagione è la vittoria alla Mille Miglia che gli era sempre sfuggita, su una Lancia D24.
L’epilogo
E’ il 1955. Sembra l’anno del riscatto e invece è l’epilogo. La Lancia D50 appare all’altezza delle Mercedes. Ascari scivola su una macchia d’olio in Argentina. Ma vince le due corse successive, non valevoli per il campionato: il Gran Premio del Valentino a Torino e il GP di Napoli. E’ il momento decisivo, Ascari vede Fangio nel mirino.
Montecarlo, 22 maggio. Fangio e Ascari ottengono lo stesso tempo in prova, la pole va all’argentino, primo ad aver girato. In gara le due Mercedes volano, però non reggono alla distanza. Fangio rompe la trasmissione e Moss il motore, lasciando olio prima della chicane dopo il tunnel. Ascari scivola su quella macchia e vola fuori pista. Niente barriere decenti all’epoca, pilota e macchina finiscono direttamente in mare. Salvataggio immediato, poche contusioni.
Il maledetto incidente
Qui finisce la carriera di Alberto Ascari. Perché quattro giorni dopo termina anche la sua vita. Il 26 maggio 1955, mentre si riposa nella sua casa milanese, viene chiamato dagli amici Villoresi ed Eugenio Castellotti, i quali stanno provando a Monza una vettura sport di Maranello, la Ferrari 750 Sport. Allora Ascari si reca all’autodromo, in giacca e cravatta, in teoria solo per assistere alle prove e ritrovarsi con gli amici.
Ma al termine delle prove egli chiede di fare tre giri. Nessuno dice di no ad Alberto Ascari. Sale così in macchina. Al terzo giro si sente un rumore sinistro dal motore, qualcosa di brutto è accaduto dopo la curva del Vialone, la stessa in cui l’anno prima l’ex campione del mondo era uscito di pista durante i primi test con la Lancia. Quella curva che oggi si chiama per l’appunto variante Ascari.
La macchina è rovesciata, più niente da fare per il pilota. Alberto Ascari è morto. L’autopsia accerterà che la causa è uno sfondamento toracico. Si notano le tracce di una violenta frenata, nessun indizio di sterzata. Si presume che in quel punto la velocità fosse di circa 200 Km/h. Ma non si riesce a capire cosa sia effettivamente accaduto. Inizialmente si era diffusa l’ipotesi secondo cui Ascari avrebbe frenato all’improvviso perché qualcuno aveva attraversato la pista.
La dinamica dell’incidente è ancora oggi oscura. Tuttavia, in un’intervista del 2014 al settimanale Autosprint, il pilota Ernesto “Tino” Brambilla ha dichiarato di aver assistito all’incidente, confermando che l’auto si è rovesciata schiacciando il pilota, e che nessuno aveva attraversato la pista.
Ma in quel periodo erano fioccate le tesi più fantasiose, nonché prive di riscontri. Ad esempio un malore, conseguenza dell’incidente di Montecarlo pochi giorni prima. O un colpo di vento. O un animale in mezzo alla pista, magari un gatto nero.
Detto senza alcuna ironia, perché subito si sono scatenate le chiacchiere degli astrologi e cabalisti vari che durano ancora oggi. Riassunto del bestiario: la stessa curva dell’incidente di un anno prima; il giorno 26, lo stesso in cui morì il padre; il superstiziosissimo Ascari non indossava quel giorno la maglietta e il casco azzurri, nonché occhiali, guanti e scarpette che usava ogni volta e non cambiava mai se vinceva (si era fatto prestare invece il casco da Castellotti); Alberto aveva 36 anni come Antonio il giorno della morte; entrambi avevano vinto 13 gran premi; entrambi sono morti quattro giorni dopo essere sopravvissuti ad un altro grave incidente; entrambi si sono schiantati in una curva a sinistra; entrambi lasciavano moglie e due figli; l’anno finiva con il numero 5. Chissà poi quante altre colossali stupidaggini.
Perché se si scava abbastanza si trovano sempre coincidenze convenienti per giustificare anche la teoria più ridicola. Giochetti numerici che fanno molta scena ma evitano di dire la realtà più semplice, citata all’inizio: le corse sono pericolose. Condurre un veicolo al limite implica il rischio costante di superare quella soglia sottile che separa il controllo dalla catastrofe. Barriera ancora più esile in un’epoca in cui la sicurezza semplicemente non era un fattore, per motivi tecnici e culturali.
I numeri
Restiamo allora ai numeri seri, gli unici che abbiano un significato: i successi. Alberto Ascari vinse in Formula 1 due titoli mondiali e 13 gran premi su 32 disputati. Significa il 40,6% di vittorie. Quota che ne fa il secondo pilota più vincente di tutti i tempi in rapporto alle gare disputate. Il primo è Fangio col 47%; seguono Jim Clark (34,7%), Lewis Hamilton (29,8%) e Michael Schumacher (29,7%). Una compagnia che non ammette contestazioni.