L’8 giugno 2018 la Porsche compie 70 anni, dettaglio che certamente non sarà sfuggito agli appassionati. Cerchiamo tuttavia una narrazione alternativa, sfruttando le coincidenze alquanto curiose che la storia propone. Ad esempio i diversi paralleli fra Porsche e Ferrari, due case così simili e così diverse.
PORSCHE ANNIVERSARIO
Un dettaglio sotto gli occhi di tutti da molti decenni è ad esempio il simbolo del cavallino rampante: non è un’esclusiva delle vetture prodotte a Maranello, sebbene Enzo Ferrari lo avesse adottato fin dagli anni Trenta come stemma della Scuderia quando faceva correre le Alfa Romeo; il quadrupede nero è anche impresso su tutte le Porsche dal 1952, quando venne ideato e applicato per la prima volta sulle 356.
Ma l’origine è completamente diversa: quello di Maranello apparteneva allo stendardo del reggimento piemontese di cavalleria in cui aveva militato l’asso dell’aviazione Francesco Baracca, il quale in seguito lo applicò alla carlinga dei suoi aerei e, dopo il primo conflitto mondiale, la madre lo donò a Ferrari come portafortuna. Quello delle Porsche è invece il simbolo araldico della città di Stoccarda.
Entrambe le aziende nascono dall’iniziativa di due grandi personaggi, Enzo Ferrari e Ferdinand Porsche. Entrambe hanno cominciato la propria avventura nella produzione automobilistica nel dopoguerra, dopo che i loro fondatori ebbero scritto pagine fondamentali nel libro delle corse negli anni Trenta. Entrambe le marche hanno nel proprio DNA le competizioni e ad esse devono gran parte del loro prestigio. Entrambe le case hanno prodotto vetture stradali che hanno rappresentato (e continuano a farlo) la quintessenza della sportività su quattro ruote. Tuttavia i paralleli terminano qui.
LA PRIMA PORSCHE FU ELETTRICA, 120 ANNI FA
Nel raccontare la storia della casa di Stoccarda non si può prescindere dalla vicenda di Ferdinand Porsche, sebbene egli abbia vissuto direttamente solo l’inizio di questa grande avventura. Non possiamo qui trattare l’intera vita del fondatore, quindi ne tracciamo solo i capitoli fondamentali. Partendo però da un’altra coincidenza quanto meno curiosa.
Se qualcuno pensasse che la propulsione elettrica coinvolga la Porsche solo nel futuro, a cominciare dalla Mission E, dovrebbe ricredersi: l’elettricità è legata alla Porsche da molto prima della sua nascita, quasi esattamente mezzo secolo, per la precisione. Infatti il 26 giugno 1898 il diciottenne Ferdinand effettuò a Vienna il primo viaggio sulla P1, cioè Porsche 1, anche se tecnicamente si chiamava “Egger-Lohner-Elektromobil Modell C.2 Phaeton”.
Aveva costruito un’automobile trainata da un motore elettrico del peso di 130 Kg, il quale erogava una potenza di ben 2,2 kW, cioè 3 cavalli, con un picco di 3,7 kW/5 CV. Grazie ad un “pacco batterie” di mezza tonnellata (niente polimeri di litio a quei tempi) riusciva a raggiungere 35 Km/h e percorrere ben 80 Km, un’autonomia di tutto rispetto anche per le sofisticate vetture di oggi, 120 anni dopo. Qualche anno fa un esemplare abbandonato è stato scoperto in un fienile austriaco e acquistato dalla Porsche che lo ha ricostruito ed esposto nel museo di Stoccarda.
Volendo andare fino in fondo, Porsche costruì anche la prima auto della storia ibrida e a trazione integrale, chiamata Lohner-Porsche (Lohner era l’azienda in cui lavorava), presentata all’esposizione universale di Parigi del 1900.
FERDINAND PORSCHE, L’AVVENTURA DEL FONDATORE
Ferdinand Porsche nacque il 3 settembre 1875 a Maffersdorf, cittadina della Boemia, quindi a quell’epoca appartenente all’impero austro-ungarico. Seguì dei corsi universitari in ingegneria ma non prese mai una laurea; ricevette tuttavia diversi titoli onorifici durante la carriera.
Nel 1902, durante il servizio militare, fu l’autista dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, il principe ereditario assassinato nel 1914. Nel 1906 Porsche fu ingaggiato dalla Austro-Daimler come capo progettista. Creò vetture che batterono diversi record di velocità.
Nel 1916 il geniale ingegnere, di fatto se non di titolo, passò alla casa madre Daimler a Stoccarda. Anche qui progettò molte vetture da corsa vincenti. Il suo contributo più noto fu lo sviluppo della tecnologia dei compressori che portò alla stupenda Mercedes SSK degli anni ’20. Ma nel 1926, dopo che Daimler si fuse con Benz, Porsche venne accantonato. Lasciò l’azienda col pallino di una vettura di piccole dimensioni e peso.
Nel 1931 Porsche fondò, sempre a Stoccarda, lo studio di progettazione che portava il suo nome. Nel 1934 ricevette da Adolf Hitler in persona l’incarico di progettare l’auto del popolo con cui aveva annunciato di voler motorizzare la Germania, cioè la Volkswagen. Nel frattempo Porsche partecipò anche al programma di sviluppo delle competizioni progettando l’innovativa Auto Union che contese alla Mercedes il dominio nella seconda metà degli anni ’30. La vettura ideata da Porsche montava il motore alle spalle del pilota.
Una soluzione adottata anche per la Volkswagen in essere. La quale però vide la luce solo dopo la guerra, per iniziativa dell’autorità militare britannica. Invece Ferdinand incorse nell’ira dei francesi, i quali volevano impadronirsi di progetti e impianti per trasferire la Volkswagen in Francia. Il 15 dicembre 1945 le autorità transalpine arrestarono Ferdinand Porsche, suo figlio Ferry (diminutivo di Ferdinand Anton) e il socio Anton Piech con l’accusa di crimini di guerra.
PORSCHE 356, LA CREATURA DI FERRY
Mentre il padre doveva difendersi dietro le sbarre, Ferry Porsche, liberato dopo pochi mesi, si occupò di riavviare l’impresa familiare (trasferitasi sul finire della guerra in Austria per evitare i bombardamenti, in una vecchia segheria a Gmünd, località della Carinzia). E’ in questo periodo che egli sviluppò i progetti per la prima vettura Porsche ufficiale. Poiché nelle vene della famiglia scorreva più benzina che sangue, quell’auto doveva essere per forza di cose sportiva. Circola una citazione famosa di Ferry: “All’inizio mi sono guardato intorno, senza riuscire a trovare l’auto dei miei sogni. Così ho deciso di costruirmela da solo”.
L’intervento dell’industriale italiano Piero Dusio permise a Ferry di pagare la forte cauzione (circa un milione di franchi) per far scarcerare il padre, in cambio del progetto per una Cisitalia destinata alla nascente Formula 1, la 360. Che, incidentalmente, somigliava moltissimo alle Auto Union dell’anteguerra; aveva la trazione integrale e un motore boxer a 12 cilindri 1.5 da 500 cavalli. Vettura che però non corse mai per forti problemi finanziari. Ferdinand venne scarcerato nell’agosto 1947.
Siamo così arrivati a quel famoso 8 giugno 1948: il giorno in cui riceve formalmente l’omologazione dalle autorità austriache la Porsche Typ 356. Nota al mondo come Porsche 356 Roadster, perché era una spider. Poiché in quel periodo la scarsità di prodotti finiti era equivalente a quella delle materie prime (nonché del denaro), i componenti meccanici della 356 derivavano dal Maggiolino Volkswagen: a cominciare dal motore a quattro cilindri boxer da 1100 cc, montato posteriormente a sbalzo e raffreddato ad aria. C’erano tuttavia delle differenze importanti nei materiali e nell’adozione di due carburatori invece di uno. Tali interventi aumentarono la potenza a 35 cavalli dai 25 della Volkswagen; unitamente al peso di soli 585 Kg, erano sufficienti a far raggiungere alla prima 356 una velocità massima di 135 Km/h.
Il telaio invece venne costruito internamente, impiegando la tecnica dei tubolari in alluminio per ottenere la massima leggerezza. Anche la carrozzeria era originale, disegnata da Erwin Komenda, il quale collaborava con Ferdinand dal 1931 e diede forma allo stesso Maggiolino. Nel periodo austriaco la 356 veniva costruita interamente a mano. Ne furono prodotti 49 esemplari.
IL RITORNO A STOCCARDA
La relazione tra Porsche e Volkswagen è sempre stata strettissima: la seconda deve alla prima la propria nascita, la prima deve all’altra la sopravvivenza. Un legame che nel corso degli anni è diventato inscindibile, poiché oggi le due società letteralmente si possiedono a vicenda: Volkswagen detiene l’intero capitale di Porsche, però Porsche detiene il 52% delle azioni del gruppo Volkswagen.
Ma torniamo agli esordi. Alle prese con enormi difficoltà economiche, Ferry bussò alla porta di Wolfsburg e strappò un accordo in cui Volkswagen avrebbe versato alla Porsche una royalty per ogni Maggiolino venduto, in cambio dell’impegno a non costruire mai modelli concorrenti. Grazie a questo afflusso di denaro la Porsche poté trasferirsi e nel 1950 tornò a Stoccarda.
La scelta di Zuffenhausen come quartier generale è dovuta al fatto che si trovava vicino alla sede della Reutter, fabbrica che produceva le nuove carrozzerie in acciaio per la 356. Reutter poi venne acquisita dalla stessa Porsche, mantenendo l’attività di produzione dei sedili e cambiò nome in Recaro. A Stoccarda la Porsche 356 passò alla produzione in serie.
Nel frattempo era già cominciata parallelamente la partecipazione alle corse. Purtroppo Ferdinand Porsche non fece in tempo a vedere la prima vittoria importante, poiché morì il 30 gennaio 1951, pochi mesi prima del successo della 356 SL alla 24 ore di Le Mans in classe 1100. Il primo di una serie lunghissima, praticamente infinita.
IL SUCCESSO. L’ARRIVO DELLA 911
La Porsche 356, nelle previsioni iniziali di Ferry, avrebbe dovuto avere una produzione di circa 1.500 unità. Si sbagliò di poco, ne vennero costruite 76.313, tra spider, coupé e convertibili. Dai 35 cavalli del motore originale 1100 si arrivò ai 95 dell’ultimo 1500, a parte i 130 cavalli della speciale 356 Carrera 2 con cilindrata 2000. L’ultima lasciò la linea di assemblaggio nel 1963 dopo 15 anni e quattro serie (la prima, considerata prototipo, poi le versioni A, B e C).
Un successo commerciale straordinario per una vettura ad alto prezzo di un costruttore relativamente sconosciuto.
Ma l’erede, uscita lo stesso anno, andò ben oltre, diventando nel tempo una vera leggenda. E pensare che la Porsche 911 non avrebbe dovuto nemmeno avere quel nome. Infatti in sede di progetto il nuovo modello veniva chiamato 901 e come tale venne presentato al salone di Francoforte del 1963.
Senonché la Peugeot intimò un sonoro alt, avendo la casa francese registrato come marchio protetto tutti i numeri a tre cifre con uno zero in mezzo. Allora i tedeschi decisero per 911, a partire dal 10 novembre 1964. Ma erano stati già prodotti e venduti 82 esemplari di 901.
Il progetto della Porsche 911 porta la firma di Ferdinand Alexander Porsche, Butzi per i familiari, figlio di Ferry. Il design è ancora sostanzialmente opera di Komenda. Sotto tutti i punti di vista, la 911 è un’evoluzione della 356, perché ne mantiene i cardini: motore posteriore a sbalzo di tipo boxer raffreddato ad aria, però ora i cilindri diventano sei cilindri invece di quattro. Volume 2 litri, la potenza era di 130 cavalli. La carrozzeria accentuava la linea resa famosa dalla 356. In più i posti diventavano 2+2. Quindi Porsche andava a contrastare direttamente il mercato delle gran turismo di lusso, Ferrari, Alfa Romeo, Mercedes, Jaguar e Lancia in primis.
Tuttavia la situazione non fu subito positiva. Infatti molti clienti si lamentarono per il prezzo eccessivo rispetto alla 356 e anche per una tenuta di strada non proprio amichevole. Dopo un continuo processo di affinamento, nel 1968 il passo venne aumentato per migliorare la stabilità della vettura. Si moltiplicarono le versioni, a cominciare da quelle con carrozzeria Targa, cioè una cabriolet con montante centrale fisso; il nome è un omaggio alle prime vittorie nella Targa Florio. Così come le versioni Carrera, già ai tempi della 356, erano un omaggio alla Carrera Panamericana, la più importante corsa di durata su strada al di là dell’Atlantico.
Cilindrate e potenze salirono senza sosta. Nel 1971 arrivò anche la prima appendice aerodinamica, uno spoiler anteriore, seguito l’anno dopo dal grosso spoiler posteriore della 911 Carrera RS (cilindrata 2.7 e potenza di 210 cavalli). Nel 1975 esordì anche la prima versione sovralimentata da un turbocompressore, appunto la Porsche 911 Turbo, codice della serie 930. Una vera e propria belva, il motore 3.0 arrivava a 260 cavalli erogati molto brutalmente e la vettura era un incubo da guidare per chi non fosse un espertissimo pilota. Allora nel 1976 uscì la 911 Carrera 3.0. Motore aspirato da 200 cavalli, raggiungeva 236 Km/h di velocità massima, poco meno della Turbo ma in compenso molto più gestibile.
Il successo della 911 dura ancora oggi. Nemmeno la svolta epocale compiuta nel 1997 con la serie 996, in cui venne introdotto il raffreddamento ad acqua, guastò le sorti commerciali di questa vettura. Si è sempre evoluta ma è rimasta sostanzialmente la stessa. Sotto quasi tutti i punti di vista, la 911 è “la” Porsche. La produzione complessiva superiore al milione di esemplari (traguardo raggiunto l’11 maggio 2017, una Carrera S verde ora esposta al museo di Stoccarda) è la testimonianza più lampante di un successo senza pari, considerando il prezzo accessibile a pochi.
LE ALTRE PORSCHE
Per parecchi anni la Porsche ha cercato un’erede della 911 esplorando diverse soluzioni tecniche, senza però cogliere nel segno. Ricordiamo i cosiddetti modelli “transaxle” proposti fra gli anni Settanta e Ottanta, cioè quelli con motore anteriore e trazione posteriore: 924, 944, 968 e 928. Senza parlare della suprema 959 da cui venne tratta una versione che vinse la Parigi-Dakar del 1986.
Dobbiamo arrivare al 1996 per vedere l’esordio di una gamma di prodotti completamente staccata dalla 911 e in grado di sostenersi sul mercato. Quell’anno uscì la Boxster (contrazione di boxer e roadster), una spider a motore centrale. Da questa è derivata la coupé Cayman. L’altra svolta storica, dettata dall’evoluzione nei gusti del pubblico, è arrivata nel 2002 con l’uscita della Cayenne, il primo SUV di Zuffenhausen che ha dato un notevole impulso alle vendite complessive della casa.
Ad esso è seguito nel 2014 il fratello più piccolo Macan. Ma non prima dell’ingresso della marca in un altro settore mai affrontato, quello delle berline. Infatti nel 2009 è uscita la prima serie della Panamera. Una vera e propria ammiraglia, però sempre indubbiamente Porsche.
L’ultima evoluzione ci porta al presente e al futuro. Infatti domani non si potrà prescindere dall’elettrificazione. Una sfida ancora più difficile per chi produce auto sportive ad alte prestazioni. Porsche è all’avanguardia anche in questo settore, perché già nel 2013 ha prodotto la sua prima supercar ibrida plug-in, la 918 Spyder. Il giro record al Nürburgring in meno di 7 minuti ha messo in chiaro subito che a Zuffenhausen quando si tratta di correre non si scherza mai.
Il passo successivo è l’alimentazione totalmente elettrica. Siamo quindi arrivati alla Porsche Mission E, già mostrata in concept e vicina all’ingresso in produzione, affiancata dal concept del fratello SUV Mission E Cross Turismo.
PORSCHE NELLE CORSE: VINCERE OVUNQUE
La storia della Porsche è strettamente legata alle competizioni. Per farla semplice, potremmo limitarci a dire che non esiste categoria o superficie in cui una Porsche non abbia corso, vincendo praticamente ovunque, a partire da quella storica Le Mans del 1951 sopra citata. Ricordiamo soprattutto i tre titoli mondiali in Formula 1 nel 1984, 1985 e 1986 come motorista per la McLaren con Lauda e Prost.
Oppure i tre successi consecutivi al rally di Montecarlo dal 1968 al 1970 con la 911 (vinto ancora nel 1978 con un team privato), compreso il campionato internazionale costruttori del 1970, l’antesignano del WRC. Manca la 500 miglia di Indianapolis, non si può avere tutto.
Ma dove la leggenda della Porsche si è creata e costantemente alimentata è nelle gare endurance. L’elenco è sterminato. Solo per citare i trionfi più importanti: 12 campionati mondiali sport dal 1969 al 1986; 3 mondiali FIA WEC dal 2015 al 2017; 18 edizioni della 24 ore di Daytona dal 1968 al 2003; 18 della 12 ore di Sebring dal 1960 al 2008; 11 della Targa Florio dal 1956 al 1973; aggiungiamo anche 2 successi alla Parigi-Dakar nel 1984 e 1986.
Naturalmente abbiamo lasciato in fondo il meglio: i 19 successi assoluti alla 24 ore di Le Mans dal 1970 al 2017, perché quelli nelle singole classi sono troppi per essere elencati qui. I prototipi messi in pista dalla casa di Stoccarda sono entrati di diritto nell’empireo delle competizioni.
La Porsche 917 inaugurò la serie; negli anni ’80 la favolosa Porsche 956 e la derivata 962C furono tra le auto più vincenti nella storia. Per chiudere con l’ibrida 919 che negli ultimi tre anni ha trionfato contro avversari tremendi come Audi e Toyota. Un ciclo che conclude nel migliore dei modi 70 anni indimenticabili. Ora il testimone a Le Mans è passato alla 911 RSR che contenderà la vittoria nella classe GTE Pro a Ford, Ferrari, Aston Martin, Corvette e BMW. Mentre nel 2019 Porsche inaugurerà la propria partecipazione ufficiale alla Formula E, proseguendo nella strategia elettrica. Il futuro non guarda indietro. (ulteriori info sul sito ufficiale)
[Photo by Porsche.com]
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