L’indimenticato Steve McQueen non fu solo uno dei più gettonati attori di film d’azione tra gli anni ’60 e ’70. Nella sua movimentata e abbastanza breve vita egli alternò l’attività professionale sul set cinematografico ad una passione innata per le corse, in auto e in moto.
Dotato anche di un certo talento naturale (oltre che di cospicue risorse finanziarie, che non fanno mai male), Steve McQueen partecipò a diverse gare importanti e ottenne alcuni risultati di rilievo. Prendendo come occasione i 50 anni del mitico film “Bullitt” con quella straordinaria scena d’inseguimento, celebrati proprio in questi giorni dall’uscita della serie speciale Ford Mustang Bullitt, vogliamo tracciare un breve profilo di Steve McQueen come pilota.
Steve McQueen: la sua vita da pilota
Steve McQueen cominciò a correre in moto nei primi anni ’50, mentre studiava recitazione a New York. Partecipava alle gare che nei weekend si tenevano sul circuito di Long Island, ottenendo spesso buoni risultati con interessanti premi in denaro, considerando il livello amatoriale.
Il successo come attore arrivò nel 1958 con la serie televisiva western “Wanted: Dead or Alive”. Quindi McQueen da quel momento non ebbe più problemi nel finanziare la propria passione motoristica. Acquistò una Porsche 356 Super con cui partecipò a diverse gare sport in California nel 1959, soprattutto sul circuito di Santa Barbara. Ottenne una vittoria e due podi.
Hollywood: fu un grande successo
Negli anni ’60 si fece largo a Hollywood costruendo il suo alone di personaggio “cool” collezionando un successo dopo l’altro, quindi non gli restava molto tempo per correre, anche perché quasi sempre le compagnie assicurative che coprivano le produzioni cinematografiche gli vietavano di farlo durante i mesi di ripresa. Ma coglieva ogni occasione possibile.
Nel 1961 corse anche in Gran Bretagna, a Brands Hatch, su una Mini, in una gara del campionato turismo inglese BTCC. Nel 1962 provò la specialità dell’endurance. Partecipò alla classica 12 ore di Sebring al volante di una Austin-Healey Sebring Sprite, ritirandosi.
Non solo auto, anche le moto nella sua vita
Parallelamente alle corse automobilistiche l’attore portò avanti anche la sua carriera motociclistica, partecipando a molte gare offroad, prevalentemente in sella ad una BSA Hornet. Nel 1971, quando era da tempo una delle star più pagate al mondo, finanziò la produzione di un documentario su questa esperienza, dal titolo “On Any Sunday”. Gli appassionati potranno trovarlo in rete.
La sua abilità come motociclista gli permise di girare direttamente, senza ricorrere alle controfigure, parecchie sequenze del film “The Great Escape”, La grande fuga, in una delle scene finali in cui il suo personaggio viene inseguito dai nazisti appunto in moto. McQueen era così bravo che il regista utilizzò in fase di montaggio una sequenza in cui egli inseguiva se stesso, vestito da soldato tedesco e “contemporaneamente” nei panni del fuggiasco capitano Hilts.
Ma questioni assicurative gli vietarono di guidare anche nella scena più significativa e pericolosa, quella in cui lo spericolato Hilts tentò di saltare con la moto un reticolato di filo spinato. Lì venne usato uno stuntman. McQueen guidò personalmente in diverse sequenze anche la leggendaria Ford Mustang verde in “Bullitt”, nel celebre inseguimento della Dodge Charger condotta dai cattivi (Ford ha da poco celebrato il mito con una edizione speciale).
1970: il punto più alto della sua carriera di pilota
Steve McQueen raggiunse il punto più alto della sua carriera di pilota nel 1970. Infatti si piazzò al secondo posto assoluto e vinse la classe 3.0 della 12 ore di Sebring, al volante di una Porsche 908, guidando col piede sinistro ingessato a causa di un incidente in moto di qualche settimana prima.
Ricordiamo che a quell’epoca si trattava della terza gara endurance per vetture sport più importante del mondo dopo la 24 ore di Le Mans e la 24 ore di Daytona. L’edizione di quell’anno fu rocambolesca. La corsa fu vinta dalla Ferrari 512S, appartenente alla classe 5.0, pilotata da Mario Andretti, Ignazio Giunti e Nino Vaccarella, portata al traguardo da Andretti con soli 23 secondi di vantaggio.
Tre nomi che fanno venire i brividi. Inoltre quell’anno nella classe della vettura di McQueen c’erano concorrenti tremendi come le Alfa Romeo T33/3 ufficiali e la Matra Simca: Piers Courage, Andrea De Adamich, Nanni Galli, Henri Pescarolo, e tanti altri nomi illustri, senza dimenticare Pedro Rodriguez e Jo Siffert sulla favolosa Porsche 917K in classe 5.0, quarti, e Arturo Merzario sull’altra Ferrari 512S.
Tuttavia è necessario collocare i fatti nella giusta prospettiva. Per quanto abile e talentuoso, Steve McQueen era pur sempre un pilota dilettante. Già competere con un normale professionista era spesso fuori dalla sua portata; contro uno di quei tre sopra citati, poi, non ci sarebbe riuscito nemmeno scrivendolo in una sceneggiatura dei suoi film.
Perché Mario Andretti (che l’anno prima aveva vinto la 500 miglia di Indianapolis e stava già correndo saltuariamente anche in Formula 1) in quella gara lottò direttamente non con McQueen ma col suo compagno Peter Revson, lui sì un eccellente professionista: l’anno successivo avrebbe vinto il campionato Can-Am, importantissimo nel Nord America, prima di passare in Formula 1, dove avrebbe vinto due gran premi prima di trovare la morte il 22 marzo 1974 in un incidente durante le prove del Gran Premio del Sudafrica a Kyalami.
A Sebring nel 1970 Andretti non partì su quella Ferrari ma su un’altra, insieme a Merzario; problemi al cambio costrinsero i due al ritiro mentre erano in testa. A 30 minuti dal termine la Ferrari di Giunti e Vaccarella si trovava al terzo posto, ad un giro di distacco, dopo la Porsche 917K di Rodriguez/Siffert e la Porsche 908 di McQueen/Revson.
Allora il direttore sportivo Mauro Forghieri tentò il tutto per tutto e sostituì il giovane Giunti col veterano (già allora…) Andretti. “Piedone” guidò da par suo e rimontò alla grande. Siffert si attardò a lungo ai box per un guasto e perse ogni chance di vittoria.
Peter Revson quindi si trovò in testa; Andretti riuscì a superarlo ma poi si fermò al box per rifornire e Revson tornò al comando ad un giro dalla fine (il tracciato di Sebring è lungo 8,3 Km). Ma Andretti, perché era Andretti, recuperò ancora, superò e vinse. Il grande Mario commentò in seguito: “Se c’era uno che meritava quella vittoria, era Revson, che guidò alla grande per la maggior parte della gara. McQueen fece solo il numero minimo di giri obbligatori per regolamento. Ma se anche Revson avesse vinto, tutti gli allori sarebbero ingiustamente andati a McQueen, neanche lontamente veloce come Revson”.
La 24 Ore di Le Mans
Il 1970 fu importante per il McQueen automobilistico anche per un altro motivo. Stava progettando di partecipare alla 24 ore di Le Mans (qui la storia di una corsa epica), questa volta però guidando la Porsche 917, fortissima e favorita per la vittoria assoluta; addirittura al fianco di un certo Jackie Stewart, che in quell’anno era solo il campione del mondo in carica nella Formula 1.
Tuttavia l’attore stava anche lavorando alla realizzazione di un film proprio su Le Mans, tramite la casa di produzione di sua proprietà. Naturalmente lui ne sarebbe stato anche il protagonista. Ma qui ancora una volta le assicurazioni ebbero la meglio: minacciarono di ritirare la copertura al film se McQueen avesse partecipato alla corsa.
L’attore dovette rinunciare. Ma partecipò “in spirito”, poiché la sua 908 di Sebring venne mandata in pista durante la 24 ore con la funzione di camera car. Infatti le scene di gara più concitate del film sono reali, appartengono veramente a quella edizione.
Purtroppo la pellicola, il cui titolo originale è semplicemente “Le Mans” (anch’essa si trova in rete), fu un colossale fiasco al botteghino, che diede un colpo quasi letale alle finanze di McQueen, provocando il fallimento della sua casa di produzione, la Solar Productions, nonché parecchi problemi nella sua vita personale. Ma la sua fama come star di Hollywood rimase intatta e subito dopo firmò per altre pellicole di successo e divenne in assoluto l’attore più pagato al mondo.
Il ritiro della scene
E’ a questo punto, siamo nel 1974, che Steve McQueen praticamente si ritira dalle scene. La sua carriera come pilota automobilistico si è conclusa a tutti gli effetti quattro anni prima a Sebring. Però decide di continuare col suo primo amore, la moto, girando l’America in camper al seguito delle corse in fuoristrada a cui lui partecipava.
Un rapporto che sarebbe durato per tutta la sua vita, cioè ancora per poco. Nel 1978, quando cercò di tornare sulle scene, il suo corpo era già minato dal cancro che lo avrebbe presto ucciso. Morì a soli 50 anni il 7 novembre 1980.
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